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La chimica organica è uno dei cinque rami principali della chimica. Si affianca alla chimica inorganica, fisica, analitica e alla biochimica.

Si occupa dello studio della struttura, composizione e delle proprietà fisiche e chimiche dei composti che contengono atomi di carbonio legati covalentemente. Gli idrocarburi ne sono un esempio classico. Si tratta di composti formati da carbonio e idrogeno.

Tuttavia, la chimica organica studia anche composti che includono altri elementi. Oltre al carbonio e all’idrogeno, possono contenere azoto, ossigeno, zolfo, fosforo, silicio, ferro o alogeni. Ad esempio, tra gli alogeni troviamo fluoro, cloro, bromo, iodio e astato.

In origine, questo ramo della chimica si concentrava solo sulle molecole prodotte dagli organismi viventi. Il primo a usare il termine “organico” per indicare i composti di origine biologica, e “inorganico” per quelli di origine minerale, fu il chimico svedese Jöns Jacob Berzelius. Introdusse questa distinzione nel 1807, nel suo Trattato di Chimica.

Col tempo, il campo della chimica organica si è ampliato. Oggi include sostanze sintetiche come plastiche, cosmetici, coloranti e prodotti petrolchimici, come la benzina. Comprende anche farmaci, prodotti alimentari e persino esplosivi.

Questa ampiezza è dovuta alla straordinaria capacità del carbonio di formare un numero quasi infinito di composti. Attualmente, sono stati sintetizzati quasi 40 milioni di composti organici. Inoltre, ogni giorno se ne aggiungono diverse migliaia, una quantità sorprendente rispetto ai circa 1,7 milioni di composti inorganici conosciuti.

Carbanioni: definizione, formazione e ruolo in biochimica

I carbanioni sono ioni contenenti un atomo di carbonio con carica negativa.
Si formano a seguito della rottura eterolitica di un legame covalente tra un atomo di carbonio e un altro atomo o gruppo.[1]
Avendo una coppia di elettroni non condivisa, sono nucleofili potenti e basi forti e attaccano, al fine di formare un legame covalente, un protone o un centro elettrofilo, come un centro polarizzato o carico positivamente.[2]
I carbanioni sono estremamente reattivi. Pertanto, per consentire loro l’attacco ai centri nucleofili, devono essere stabilizzati.[3] La stabilizzazione può avvenire per effetto induttivo, per risonanza, e può anche dipendere dall’ibridazione dell’atomo di carbonio portatore di carica negativa.[1][2]
Sono intermedi in molte reazioni catalizzate da enzimi.

Indice

Eterolisi e omolisi

Considerando due atomi o gruppi, indicati come A e B, uniti da legame covalente, esistono due modi per rompere suddetto legame: l’eterolisi e l’omolisi.

Eterolisi e omolisi: formazione di carbanioni, carbocationi e radicali liberiNell’eterolisi, la rottura del legame covalente porta alla formazione di due atomi dotati di carica, ossia due ioni, un catione e un anione, poiché entrambi gli elettroni di legame vengono presi da uno dei due atomi precedentemente legati, quello più elettronegativo.[4] La reazione può procedere in due modi:

A:B → :A + B+, se A è più elettronegativo di B;

A:B → A+ + :B, se B è più elettronegativo di A.

Nell’eterolisi di un legame covalente che coinvolge un atomo di carbonio, se entrambi gli elettroni di legame vengono presi dall’atomo di carbonio, l’atomo avrà una carica negativa, quindi è un anione, ed è definito carbanione. Se invece il carbonio perde entrambi gli elettroni di legame avrà carica positiva, quindi è un catione, ed è definito carbocatione.[5]
Nell’omolisi, la rottura del legame covalente tra A e B porta alla formazione di due radicali liberi, poiché ciascun atomo o gruppo prende uno dei due elettroni di legame.[6] Anche i radicali liberi, che sono elettricamente neutri, sono molecole molto instabili. Si noti che la scissione omolitica è meno comune della scissione eterolitica.[7]

Stabilizzazione dei carbanioni

I carbanioni sono specie chimiche estremamente reattive e, come i carbocationi e i radicali liberi, sono quasi sempre intermedi transienti in alcune reazioni organiche. Per permettere il loro attacco ai centri elettrofili è necessario che siano stabilizzati. La loro stabilizzazione dipende dalla dispersione della carica negativa, dispersione che può avvenire per effetto induttivo, per risonanza, e può anche dipendere dal carattere s degli orbitali ibridi dell’atomo di carbonio con carica negativa.

L’effetto induttivo è dovuto alla presenza nella molecola di uno o più dipoli permanenti in uno o più legami, dipoli a loro volta derivanti dalla differenza di elettronegatività tra due gruppi che determina una distribuzione non uniforme degli elettroni di legame. L’effetto induttivo può essere positivo, detto anche effetto +I, caratteristico di atomi o gruppi che tendono a respingere gli elettroni, oppure negativo, detto anche effetto –I, caratteristico di atomi o gruppi che tendono ad attrarre gli elettroni. Gli atomi o gruppi con effetto +I tendono a diminuire la stabilità dei carbanioni, mentre quelli con effetto –I, quindi più elettronegativi, tendono a stabilizzarli.[1]

La stabilità dei carbanioni aumenta quando sono legati a una struttura elettrofila dove la coppia di elettroni non condivisi può delocalizzarsi per risonanza, quindi una struttura che agisca da trappola per gli elettroni. Le strutture aromatiche, come il gruppo fenile, sono particolarmente efficaci.[2]

Infine la stabilità è anche una funzione del carattere s degli orbitali ibridi dell’atomo di carbonio caricato negativamente, aumentando all’aumentare della percentuale del suddetto carattere s. Pertanto aumenterà passando dall’ibridazione sp3, che ha il 25% di carattere s, a sp2, con il 33% di carattere s, a sp, con il 50% di carattere s.[1]

R-CH2 < R1R2C=CH < RC≡C

I carbanioni nelle reazioni enzimatiche

Esempi di reazioni enzimatiche che hanno carbanioni tra gli intermedi sono quelle catalizzata da tre complessi multienzimatici appartenenti alla famiglia delle 2-ossiacido deidrogenasi o alfa-chetoacido deidrogenasi, i quali sono coinvolti nelle decarbossilazioni ossidative di chetoacidi, in particolare degli alfa-chetoacidi, di seguito brevemente descritti.

  • Il complesso della piruvato deidrogenasi, che catalizza la decarbossilazione ossidativa del piruvato, la base coniugata dell’acido piruvico, in acetil-CoA, agendo così da ponte di collegamento tra glicolisi e ciclo dell’acido conversione citrico;
  • il complesso della ossoglutarato deidrogenasi o alfa-chetoglutarato deidrogenasi, che catalizza la decarbossilazione ossidativa dell’alfa-chetoglutarato a succinil-CoA nel corso del ciclo dell’acido citrico;
  • il complesso della alfa-chetoacido deidrogenasi a catena ramificata, che catalizza la decarbossilazione ossidativa degli aminoacidi ramificati valina, leucina e isoleucina in acetil-CoA e succinil-CoA, il cui scheletro carbonioso rimanente può quindi entrare nel ciclo dell’acido citrico.[3]

I tre complessi multienzimatici hanno strutture e meccanismi di reazione molto simili. Nello specifico, sono le loro subunità E1, che hanno come cofattore la tiamina pirofosfato, che catalizzano una reazione in cui si viene a formare un intermedio carbanionico, la cui formazione e stabilizzazione per risonanza coinvolge direttamente la tiamina.[8]

Anche la transchetolasi (EC 2.2.1.1) catalizza una reazione che comporta la formazione di un intermedio carbanionico. Questo enzima, che catalizza le tappe 6 e 8 della via del pentoso fosfato, richiede come cofattore la tiamina pirofosfato e ha un meccanismo di reazione simile a quello delle subunità E1 dei complessi multienzimatici visti in precedenza.[7]

Altro esempio di enzima che catalizza una reazione che vede la formazione di un intermedio carbanionico è l’acetil-CoA carbossilasi (EC 6.4.1.2), che catalizza la tappa di comando della sintesi degli acidi grassi, ossia la carbossilazione dell’acetil-CoA a malonil-CoA.[9]

Bibliografia

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  2. ^ a b c Solomons T.W.G., Fryhle C.B., Snyder S.A. Solomons’ organic chemistry. 12th Edition. John Wiley & Sons Incorporated, 2017
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  4. ^ Heterolysis, in IUPAC Compendium of Chemical Terminology, 3rd ed. International Union of Pure and Applied Chemistry; 2006. Online version 3.0.1, 2019. doi:1351/goldbook.H02809
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  7. ^ a b Nelson D.L., Cox M.M. Lehninger. Principles of biochemistry. 6th Edition. H. Freeman and Company, 2012
  8. ^ Berg J.M., Tymoczko J.L., and Stryer L. Biochemistry. 5th Edition. W. H. Freeman and Company, 2002
  9. ^ Garrett R.H., Grisham C.M. Biochemistry. 4th Edition. Brooks/Cole, Cengage Learning, 2010

Convenzione di Fischer-Rosanoff: origini, applicazioni e limiti

Nel 1906, il chimico russo-americano Martin André Rosanoff, allora alla New York University, scelse la gliceraldeide, un monosaccaride, come standard per descrivere la stereochimica di molecole con almeno un centro chirale, come i carboidrati. Questo sistema di nomenclatura divenne noto come convenzione di Fischer-Rosanoff, o convenzione di Rosanoff, o sistema D-L.[1]

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Convenzione di Fischer-Rosanoff: origine e applicazioni

Poiché all’epoca la configurazione assoluta della gliceraldeide era sconosciuta, Rosanoff assegnò la stereochimica in modo completamente arbitrario.

  • Il prefisso D (dal latino dexter, che significa “destra”) fu assegnato alla (+)-gliceraldeide, l’enantiomero destrogiro, assumendo che nella sua proiezioni di Fischer il gruppo ossidrilico (–OH) si trovasse sul lato destro del centro chirale.
  • Il prefisso L (dal latino laevus, che significa “sinistra”) fu assegnato alla (–)-gliceraldeide, l’enantiomero levogiro, assumendo che il gruppo ossidrilico fosse sul lato sinistro del centro chirale.[2]

Convenzione di Fischer-Rosanoff: proiezioni di Fischer della D-gliceraldeide con il gruppo –OH a destra, e della L-gliceraldeide con il gruppo –OH a sinistra

Sebbene lo stesso Emil Fischer avesse rifiutato questo sistema, esso fu ampiamente adottato per determinare le configurazioni relative delle molecole chirali. In che modo? La configurazione attorno a un centro chirale viene messa in relazione con quella della gliceraldeide convertendo chimicamente i gruppi della molecola in esame in quelli del monosaccaride attraverso reazioni che avvengano con ritenzione di configurazione, ossia reazioni che non comportano la rottura di nessuno dei legami del centro chirale. Grazie a ciò la disposizione spaziale dei gruppi attorno al centro chirale nel prodotto è la stessa che si ha nel reagente.[3]

La convenzione di Fischer-Rosanoff consente ai chimici di classificare molecole chirali, come gli amminoacidi e i monosaccaridi, in due categorie: la serie D e la serie L, a seconda che la loro configurazione corrisponda a quella della D- o della L-gliceraldeide.

Nota: non esiste una correlazione diretta tra la configurazione (D o L) e la direzione della rotazione ottica. Il sistema D-L non indica se una molecola è destrogira o levogira; si riferisce soltanto alla configurazione molecolare rispetto alla gliceraldeide.[4]

Convenzione di Fischer-Rosanoff: carboidrati

I monosaccaridi possono essere classificati come aldosi o chetosi. Gli aldosi, e i chetosi con più di tre atomi di carbonio, presentano almeno un centro chirale. Per convenzione, vengono assegnati alla serie D o L a seconda della configurazione del carbonio chirale più distante dal gruppo carbonilico, cioè quello con il più alto stato di ossidazione. Se tale configurazione corrisponde a quella della D- o della L-gliceraldeide, la molecola viene collocata nella rispettiva serie D o L.

Nelle proiezioni di Fischer, la catena carboniosa più lunga è disegnata verticalmente, e gli atomi di carbonio sono numerati in modo che il carbonio del gruppo carbonilico riceva il numero più basso possibile: C-1 negli aldosi e C-2 nei chetosi.[5]

Convenzione di Fischer-Rosanoff: aldosi e chetosi con il carbonio chirale più lontano dal gruppo carbonilico usato come riferimento per assegnare D o L

Nota: in Natura, i carboidrati della serie D sono molto più comuni di quelli della serie L.

Se nel nome della molecola deve essere specificato anche il segno della rotazione del piano della luce polarizzata, i prefissi (+) e (–) possono essere utilizzati assieme ai prefissi D e L. Ad esempio, il fruttosio, che è levogiro, può essere scritto come D-(–)-fruttosio, mentre il glucosio, che è destrogiro, come D-(+)-glucosio.

Convenzione di Fischer-Rosanoff: alfa-amminoacidi

Gli amminoacidi, sulla base della posizione del gruppo amminico (–NH2) rispetto a quella del gruppo carbossilico (–COOH) possono essere classificati come:

  • α-amminoacidi, se il gruppo amminico è legato al carbonio α;
  • β-amminoacidi, se il gruppo amminico è legato al carbonio β;
  • γ-amminoacidi, se il gruppo amminico è legato al carbonio γ;
  • δ-amminoacidi, se il gruppo amminico è legato al carbonio δ.

Convenzione di Fischer-Rosanoff: confronto tra D- e L-gliceraldeide e D- e L-α-amminoacidi

Considerando gli α-amminoacidi, questi apparterranno rispettivamente alla serie D o alla serie L se la configurazione dei gruppi –NH2, –COOH, –R, e dell’atomo di idrogeno legati al carbonio α, il centro chirale, è la stessa di quella dei gruppi –OH, aldeidico (–CHO), idrossimetilico (–CH2OH) e dell’atomo di idrogeno rispettivamente della D-gliceraldeide o della L-gliceraldeide.[4]

Nelle proiezioni di Fischer, gli amminoacidi sono rappresentati con il gruppo carbossilico, il carbonio con il più alto stato di ossidazione, in alto e il gruppo R in basso.

Tra gli α-amminoacidi, quelli proteinogenici, ossia quelli coinvolti nella sintesi proteica, con l’eccezione della glicina, il cui carbonio α non è chirale, presentano tutti la configurazione L, e sono dunque noti come L-α-amminoacidi.

Nota: in natura gli L-α-amminoacidi sono significativamente più abbondanti rispetto agli altri tipi che non partecipano alla sintesi delle proteine.[5]

Configurazioni relative e assolute

Quando Rosanoff assegnò arbitrariamente il prefisso D alla (+)-gliceraldeide e L alla (–)-gliceraldeide, aveva una probabilità del 50% di essere nel giusto.[6]

All’inizio degli anni ’50 lo sviluppo della diffrazione a raggi X rese possibile determinare la configurazione assoluta delle molecole chirali. Nel 1951, il chimico olandese Johannes Martin Bijvoet determinò la configurazione assoluta del (+)-tartrato di rubidio e sodio tetraidrato. Confrontandola con quella della gliceraldeide, dimostrò che l’ipotesi di Rosanoff era corretta.[7]

Di conseguenza, le configurazioni delle molecole chirali precedentemente assegnate mettendole in relazione con quelle della gliceraldeide risultarono corrispondere alle loro vere configurazioni assolute, significando quindi che le configurazioni relative divennero anche assolute.

Limiti della convenzione di Fischer-Rosanoff

La convenzione di Fischer-Rosanoff da luogo ad ambiguità quando viene applicata a molecole con più di un centro chirale.[3] Se ad esempio si considera il D-(+)-glucosio, il sistema D-L ci da informazioni circa la configurazione del solo carbonio 2, quando nella molecola sono presenti altri tre centri asimmetrici, i carboni 3, 4 e 5.[3]
Ambiguità della convenzione di Fischer-Rosanoff: i centri chirali (C-3, C-4, C-5) del D-(+)-glucosio non sono definiti dal sistema D-LIn questi casi il sistema RS, sviluppato nel 1956 da Robert Sidney Cahn, Christopher Ingold, e Vladimir Prelog, assegnando una configurazione a ogni singolo centro chirale permette di descrivere senza incertezze la stereochimica della molecola. Nel caso del D-(+)-glucosio si ha la configurazione (2R,3S,4R,5R).[5][8]

Va anche notato che, utilizzando la convezione di Fischer-Rosanoff, in base al centro chirale scelto come riferimento, una stessa molecola può appartenere sia alla serie D che a quella L.

Bibliografia

  1. ^ Rosanoff M.A. On Fischer’s classification of stereo-isomers. J Am Chem Soc 1906:28(1);114-121. doi:10.1021/ja01967a014
  2. ^ IUPAC. Compendium of Chemical Terminology, 2nd ed. (the “Gold Book”). Compiled by A. D. McNaught and A. Wilkinson. Blackwell Scientific Publications, Oxford (1997). Online version (2019-) created by S. J. Chalk. ISBN 0-9678550-9-8. doi:10.1351/goldbook
  3. ^ a b Garrett R.H., Grisham C.M. Biochemistry. 4th Edition. Brooks/Cole, Cengage Learning, 2010.
  4. ^ a b Nelson D.L., Cox M.M. Lehninger. Principles of biochemistry. 6th Edition. W.H. Freeman and Company, 2012.
  5. ^ a b c Voet D. and Voet J.D. Biochemistry. 4th Edition. John Wiley J. & Sons, Inc. 2011.
  6. ^ Moran L.A., Horton H.R., Scrimgeour K.G., Perry M.D. Principles of Biochemistry. 5th Edition. Pearson, 2012.
  7. ^ Bijvoet J.M., Peerdeman A.F., Van Bommel A.J. Determination of the absolute configuration of optically active compounds by means of X-rays. Nature 1951;168(4268):271. doi:10.1038/168271a0
  8. ^ Cahn R.S., Ingold C., Prelog V. Specification of molecular chirality. Angew Chem 1966:5(4); 385-415. doi:10.1002/anie.196603851

Proiezioni di Fischer: come disegnarle e manipolarle. Una guida passo dopo passo

Nel 1891 il chimico tedesco Hermann Emil Fischer, premio Nobel per la chimica nel 1902, sviluppò un metodo sistematico per la rappresentazione bidimensionale delle molecole con centri chirali (anche detti centri di chiralità): le cosiddette proiezioni di Fischer o formule proiettive di Fischer.[1]
Le proiezioni di Fischer, pur essendo strutture bidimensionali, preservano l’informazione circa la stereochimica della molecola.[2] Sebbene non siano una rappresentazione di come le molecole potrebbero apparire in soluzione, sono largamente utilizzate dai biochimici per definire la stereochimica degli amminoacidi, dei carboidrati, degli acidi nucleici, dei terpeni, degli steroidi, e di molte altre molecole di interesse biologico.[3]

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Come disegnare le proiezioni di Fischer

Considerando una molecola con un solo centro chirale, supponiamo un atomo di carbonio, per la costruzione della sua proiezione di Fischer la struttura tetraedrica viene ruotata in modo che due legami siano orientati verso il basso mentre gli altri legami siano orientati verso l’alto. Si traccia quindi una croce, al centro della quale si colloca il carbonio chirale, e si dispone la molecola in modo che i gruppi orientati verso il basso, ossia al di sotto del piano del foglio, siano legati alle estremità della linea verticale, mentre i gruppi orientati verso l’alto, dunque al di sopra del piano del foglio, siano legati alle estremità della linea orizzontale.[4]
Come disegnare la proiezione di Fischer di una molecola con un centro chirale

In presenza di più centri chirali si applica lo stesso procedimento a ognuno di essi.

E’ anche possibile convertire una proiezione di Fischer in una rappresentazione tridimensionale, ad esempio utilizzando i cunei e tratteggi delle formule prospettiche, dove i due legami orizzontali sono rappresentati da cunei solidi, mentre quelli verticali da linee tratteggiate.[5]

Regole per utilizzare le formule proiettive di Fischer

Poiché le proiezioni di Fischer rappresentano in forma bidimensionale strutture tridimensionali, ci sono alcune regole che vanno rispettate per evitare un cambio di configurazione.[2]

  • Le proiezioni non devono essere ribaltate dal piano del foglio, ma traslate o girate; con il ribaltamento si ottiene l’altro enantiomero.
  • Se si ruota sul piano la proiezione, per ottenere lo stesso enantiomero dovremo ruotare la figura di 180°, a prescindere dalla direzione di rotazione, in quanto i gruppi verticali devono giacere sotto il piano del foglio mentre quelli orizzontali sopra. Di contro, se le proiezioni sono ruotate di 90° o 270° non verrebbe rispettata la convenzione e un enantiomero è convertito nell’altro.Regole per utilizzare le proiezioni di Fischer
  • Infine, un numero dispari di scambi tra due due gruppi qualsiasi attorno al centro chirale comporta la conversione di un enantiomero nell’altro.[5]

Bibliografia

  1. ^ Emil Fischer – Biographical. NobelPrize.org. Nobel Prize Outreach 2025. Sat. 31 May 2025. https://www.nobelprize.org/prizes/chemistry/1902/fischer/biographical/
  2. ^ a b Moran L.A., Horton H.R., Scrimgeour K.G., Perry M.D. Principles of Biochemistry. 5th Edition. Pearson, 2012.
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  5. ^ a b Solomons T.W.G., Fryhle C.B., Snyder S.A. Solomons’ organic chemistry. 12th Edition. John Wiley & Sons Incorporated, 2017.

Regole di priorità del sistema RS per la nomenclatura delle molecole chirali

Nel 1956, Robert Sidney Cahn, Christopher Ingold, e Vladimir Prelog misero a punto un sistema di nomenclatura che, basandosi su poche e semplici regole, permette di assegnare la configurazione assoluta a ogni centro chirale presente in una molecola.[1][2]
Questo sistema di nomenclatura, chiamato sistema RS o convenzione di Cahn-Ingold-Prelog, quando accoppiato con il sistema di nomenclatura IUPAC, permette di assegnare in maniera accurata e priva di ambiguità il nome alle molecole chirali, anche quando è presente più di un centro asimmetrico.[3]

Le molecole chirali sono, nella maggior parte dei casi, in grado di far ruotare il piano della luce polarizzata quando questa attraversa una soluzione che le contenga. A questo riguardo va sottolineato che il segno del potere rotatorio non da alcuna informazione circa la configurazione RS dei centri chirali della molecola.

La convenzione di Fischer-Rosanoff è un altro sistema di nomenclatura per le molecole chirali.[4] Tuttavia, rispetto al sistema RS, non analizza ogni singolo centro chirale ma assegna un nome all’intera molecola, e spesso presenta ambiguità con molecole con più centri chirali.[5]

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Le regole di priorità del sistema RS

Il sistema RS assegna un ordine di priorità ai gruppi legati a un centro chirale e, tracciando una circonferenza dal gruppo a priorità maggiore verso quello a priorità minore, assegna la configurazione R o S al centro chirale.[6][7]

Prima regola

Si assegna un ordine di priorità ai gruppi, sulla base del numero atomico dell’atomo direttamente legato al centro chirale.
L’atomo con il numero atomico più alto ha la priorità più alta, mentre l’atomo con il numero atomico più basso ha la priorità più bassa.
Ad esempio, se un atomo di ossigeno (O, numero atomico 8), di carbonio (C, numero atomico 6), di cloro (Cl, numero atomico 17), e di bromo (Br, numero atomico 35) sono legati a un centro chirale, l’ordine di priorità sarà:

Br > Cl> O > C.

Considerando gli isotopi, l’atomo con la massa atomica più alta ha la priorità più alta.[8]

Seconda regola

Quando gruppi differenti sono legati al centro di chirale attraverso identici atomi, l’ordine di priorità è assegnato in base al numero atomico dell’atomo successivo a quello legato al centro, allontanandoci dal centro chirale finché non si raggiunge il primo punto di differenza.
Se, per esempio, i gruppi –CH3, –CH2CH3 e –CH2OH sono legati al centro di chiralità, ci sono tre atomi identici attaccati direttamente a esso. Analizzando gli atomi successivi, si ha:

  • gruppo metilico (–CH3): H, H, H
  • gruppo etilico (–CH2CH3): H, H, C
  • gruppo idrossimetilico (–CH2OH): H, H, O

Sistema RS: seconda regola per stabilire le priorità, mostrando i gruppi –CH₃, –CH₂CH₃ e –CH₂OH come esempio comparativo

Poiché il numero atomico dell’atomo di ossigeno è maggiore di quello dell’atomo di carbonio, che a sua volta è maggiore di quello dell’atomo di idrogeno, l’ordine di priorità è: –CH2OH > –CH2CH3 > –CH3.
Per alcuni gruppi l’ordine di priorità è il seguente:

–I > –Br > –Cl > –SH > –OR > –OH > –NHR > –NH2 > –COOR > –COOH > –CHO > –CH2OH > –C6H5 > –CH3 > –2H > –1H

Si noti che i gruppi legati a un centro chirale devono avere un differente grado priorità altrimenti il centro non può essere chirale.

Stabilito l’ordine di priorità, si orienta la molecola nello spazio in modo che il gruppo a priorità più bassa sia diretto in direzione opposta a quella dell’osservatore, quindi dietro il centro chirale. A questo punto si congiungono i gruppi rimasti con una circonferenza, in modo che la successione sia secondo priorità decrescente: dal gruppo a priorità più alta verso quello a priorità più bassa.

  • Se tracciando questa circonferenza si segue una direzione oraria, la configurazione del centro chirale è R, dal latino rectus che significa “destra”.
  • Se tracciando la circonferenza si segue una direzione antioraria, la configurazione del centro chirale è S, dal latino sinister che significa “sinistra”.[8]

Centro chirale con configurazione R, ottenuta orientando il gruppo a priorità più bassa lontano dall'osservatore e tracciando una freccia in senso orario

Terza regola

Questa può essere considerata come la terza regola del sistema RS, grazie alla quale è possibile assegnare la configurazione a un centro chirale anche quando sono presenti di doppi o tripli legami nei gruppi legati al centro stesso.
Ai fini dell’attribuzione delle priorità, gli atomi impegnati nei legami multipli sono considerati duplicati, nel caso di un doppio legame, e triplicati, nel caso di un triplo legame.
Sistema RS: terza regola per l'assegnazione delle priorità, che mostra come i doppi e tripli legami vengano trattati come atomi duplicati o triplicati.Nel caso di doppio legame C=Y, un atomo Y sarà da legare sull’atomo di carbonio, e un atomo di carbonio sull’atomo Y.
Nel caso di un triplo legame C≡Y, due atomi Y verranno legati sull’atomo di carbonio, e due atomi di carbonio sull’atomo Y. [8]

Il sistema RS in presenza di più centri chirali

Quando in una molecola sono presenti due o più centri chirali, si procede analizzando in modo indipendente ciascun centro, utilizzando le regole viste in precedenza.

Consideriamo il 2,3-butandiolo. La molecola ha due centri chirali, il carbonio 2 e il carbonio 3, e tre stereoisomeri: due enantiomeri e un composto meso. Qual è la configurazione RS dei centri chirali dell’enantiomero in figura?

Configurazione RS dei due centri chirali nel (2R,3R)-2,3-butandioloSi consideri il carbonio 2. L’ordine di priorità dei gruppi legati è:

–OH > –CH2OHCH3 > –CH3 > –H.

Si ruoti la molecola in modo che l’idrogeno, il gruppo con la priorità più bassa, sia diretto in direzione opposta all’osservatore. Disegnando una circonferenza partendo dal gruppo –OH, il gruppo con la priorità più alta, verso il gruppo –CH3, il gruppo a priorità più bassa, ci si muove in senso antiorario, per cui la configurazione del carbonio 2 è R.
Applicando la stessa procedura al carbonio 3, si scopre che la sua configurazione è R.
Quindi l’enantiomero in figura è il (2R,3R)-2,3-butandiolo.

Aminoacidi e gliceraldeide

Nella convenzione di Fischer-Rosanoff tutti gli aminoacidi proteinogenici sono L-aminoacidi. Nel sistema RS, con l’eccezione della glicina che non è chirale, e della cisteina che, per la presenza di un gruppo tiolico, è classificata come (R)-cisteina, tutti gli altri aminoacidi proteinogenici sono (S)-amminoacidi.

La treonina e l’isoleucina posseggono due centri chirali, il carbonio α e un atomo di carbonio sulla catena laterale, e tre stereoisomeri: due enantiomeri e un composto meso. Le forme dei due amminoacidi isolate dalle proteine sono la (2S,3R)-treonina e la (2S,3S)-isoleucina, secondo la convenzione di Fischer-Rosanoff la L-treonina e la L-isoleucina.

Nel sistema RS, la L-gliceraldeide ha il centro chirale con configurazione S, per cui è indicata come (S)-gliceraldeide; ovviamente la D-gliceraldeide sarà la (R)-gliceraldeide.[9]

Bibliografia

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Chiralità: concetti, scoperte e applicazioni

La chiralità è la proprietà geometrica di un insieme di punti o atomi nello spazio, o di oggetti solidi, di non essere sovrapponibili alla loro immagine speculare.[1] Questi strutture, definite chirali, hanno la caratteristica peculiare di essere prive di elementi di simmetria del secondo ordine, ossia un piano di simmetria, un centro di inversione, o un asse di roto-riflessione.[2]
La definizione di chiralità, dal greco cheir che significa “mano”, si deve a Lord Kelvin che la enunciò nel corso delle “Baltimore Lectures”, una serie di lezioni tenute alla Johns Hopkins University di Baltimora a partire dal primo ottobre del 1884, e pubblicate nel 1904.[3]

L’ambiente che ci circonda è ricco di oggetti chirali: le nostre mani ne sono l’esempio per eccellenza, ma ce ne sono moltissimi altri, dal guscio di una chiocciola sino a una galassia a spirale. In chimica, e in special modo in chimica organica, la chiralità è una proprietà di importanza primaria, in quanto molecole come i carboidrati, molti amminoacidi, nonchè moltissimi farmaci, sono chirali.[4]

Le molecole chirali possono esistere in due forme, l’una immagine speculare dell’altra e non sovrapponibili, ossia, non esiste una combinazione di rotazioni o traslazioni sul piano del foglio che consenta la loro sovrapposizione. Queste molecole sono dette enantiomeri, dal greco enántios che significa “contrario” e meros che significa “parte”.[5]

La causa più comune di chiralità in una molecola è la presenza di un centro chirale centro di chiralità, anche detto centro asimmetrico, cioè un atomo che leghi un insieme di ligandi disposti nello spazio in modo che la molecola risultante possa esistere come due enantiomeri.
Gli enantiomeri a loro volta sono un tipo di stereoisomeri, i quali possono essere definiti come isomeri che hanno lo stesso numero e tipo di atomi e legami, ma che differiscono nell’orientamento spaziale degli atomi.[2]

Indice

Enantiomeri

Due enantiomeri di una molecola chirale, non essendo sovrapponibili, sono composti differenti. In che cosa differiscono?
Ciascuna coppia di enantiomeri possiede identiche proprietà fisiche e chimiche verso tutto ciò che non è chirale, come il punto di fusione, il punto di ebollizione, l’indice di rifrazione, lo spettro infrarosso, la solubilità in uno stesso solvente, o la velocità di reazione con i reagenti achirali.
Le differenze emergono quando la coppia enantiomerica viene fatta interagire con fenomeni chimici e fisici che abbiano natura chirale.

  • Dal punto di vista chimico, due enantiomeri possono essere distinti quando si trovano a interagire con strutture chirali, come il sito di legame di un recettore chirale o il sito attivo di un enzima chirale.
  • Dal punto di vista fisico due enantiomeri differiscono nelle interazioni con la luce polarizzata, che ha proprietà chirali, sono cioè dotati di attività ottica.[6]

Chiralità e attività ottica

L’attività ottica di materiali come il quarzo e, più importante, di composti organici come zuccheri o l’acido tartarico, fu scoperta nel 1815 dallo scienziato francese Jean-Baptiste Biot.[7]
Le molecole chirali possono essere classificate sulla base della direzione in cui viene ruotato il piano della luce polarizzata, rispetto al punto di vista dell’osservatore, quando attraversa una soluzione che le contenga.

  • Se una soluzione di un enantiomero ruota il piano della luce polarizzata in senso orario, la molecola viene definita destrogira o destrorotatoria, dal latino dexter che significa “destro”, e suo nome è preceduto dai prefissi (+) o d, da dextro-.
  • Se una soluzione di un enantiomero ruota il piano della luce polarizzata in senso antiorario, la molecola è definita levogira o levorotatoria, dal latino laevus che significa “sinistro”, e il suo nome è preceduto dai prefissi (–) o l, da laevo-.[8]

Ovviamente, considerando una coppia di enantiomeri, uno sarà destrogiro e l’altro non potrà che essere levogiro.
Al momento non è ancora possibile predire in modo affidabile ne la grandezza, la direzione, o il segno della rotazione del piano della luce polarizzata indotta da un enantiomero. D’altro canto, neppure l’attività ottica di una molecola da alcun tipo di informazione riguardo alla disposizione spaziale dei gruppi chimici legati al centro di chiralità.

Nota: un sistema contenente molecole che abbiamo lo stesso senso di chiralità è chiamato enantiomericamente puro o enantiopuro.[9]

Pasteur e la scoperta degli enantiomeri

Nel 1848, trentatre anni dopo il lavoro di Biot, studi sull’attività ottica delle molecole portarono Louis Pasteur, che di Biot era stato studente, a notare che, a seguito della ricristallizzazione di una soluzione acquosa concentrata di sodio ammonio tartrato (che era otticamente inattiva), di per se otticamente inattiva, precipitavano due tipi di cristalli che erano l’uno l’immagine speculare dell’altro e non sovrapponibili.[10]

Dopo averli separati con delle pinzette, Pasteur si accorse che le soluzioni ottenute sciogliendo quantità equimolari dei due cristalli erano otticamente attive e, cosa forse più interessante, l’angolo di rotazione del piano della luce polarizzata era lo stesso ma di segno opposto. Poiché queste differenze nell’attività ottica erano dovute alle molecole di sodio ammonio tartrato disciolte, Pasteur ipotizzò che le molecole stesse dovessero essere l’una l’immagine speculare dell’altra e non sovrapponibili, al pari dei loro cristalli, quelli che oggi chiamiamo enantiomeri.[11]

Fu Pasteur che per primo coniò il termine asimmetria per descrivere questa proprietà, definita in seguito chiralità da Lord Kelvin.[12]

Miscele racemiche

Una soluzione che contenga quantità equimolari di ciascun membro di una coppia di enantiomeri è detta miscela racemica o racemo. Queste soluzioni sono otticamente inattive in quanto l’effetto rotatorio di un enantiomero è esattamente compensato da quello dell’altro enantiomero.[13]

A differenza di quanto accade nei processi biochimici, la sintesi chimica di molecole chirali che non preveda il ricorso a reagenti chirali, o che non sia seguita da metodiche di separazione degli enantiomeri, porta inevitabilmente alla produzione di una miscela racemica.[9]
Il settore che più a risentito di questo fenomeno è quello della chimica farmaceutica. Come detto in precedenza, due enantiomeri sono molecole differenti. Molti farmaci chirali sono sintetizzati come miscele racemiche, ma molto spesso l’attività farmacologica desiderata è presente solamente in uno dei due enantiomeri, detto eutomero. L’altro enantiomero, detto distomero, è inattivo o meno attivo.[14]

Un esempio è il farmaco antiinfiammatorio ibuprofene, un derivato arilpropionico: solamente l’enantiomero S, così definito sulla base delle regola del sistema di nomenclatura detto sistema RS, è dotato di attività farmacologica.

Strutture degli enantiomeri dell'ibuprofene: l'enantiomero S e l'enantiomero R, che mostrano immagini speculari non sovrapponibili.

I derivati arilpropionici vengono venduti come miscele racemiche perché a livello epatico una racemasi converte il distomero in eutomero.[15]

Tuttavia è anche possibile che il distomero produca effetti dannosi e debba essere eliminato dalla miscela racemica. Un tragico esempio è la talidomide, un sedativo e anti-nausea commercializzato come miscela racemica dagli anni ‘50 fino al 1961, e utilizzato anche in gravidanza.

Strutture degli enantiomeri del talidomide: l'enantiomero S e l'enantiomero R, che mostrano immagini speculari non sovrapponibili.
Il distomero, l’enantiomero S, poteva causare gravi difetti alla nascita, in particolare la focomelia (malformazione degli arti). Questo è forse l’esempio più eclatante dell’importanza delle proprietà chirali delle molecole, che ha poi spinto gli organismi di salute pubblica a promuovere, da parte dell’industria farmaceutica, la sintesi di farmaci, talidomide compresa, contenenti un singolo enantiomero.[16]

Centri di chiralità

Un qualsiasi atomo tetraedrico che leghi quattro ligandi differenti può essere un centro chirale.
L’esempio classico è l’atomo di carbonio, ma anche altri atomi appartenenti al gruppo IVA della tavola periodica, come i semimetalli silicio e il germanio, formano composti a struttura tetraedrica e possono essere centri di chiralità.[2]

Anche l’atomo di fosforo negli organofosfati ha una geometria tetraedrica, quindi, quando lega quattro diversi sostituenti, è un centro chirale.[4]

L’atomo di azoto di un’ammina terziaria, un’ammina dove tre gruppi organici differenti sono legati all’azoto, è un centro chirale. In questi composti l’atomo di azoto è disposto al centro di un tetraedro e i suoi quattro orbitali ibridi sp3 sono diretti verso i vertici. Tre di questi sono occupati dai tre sostituenti, mentre verso il quarto è diretta la coppia di elettroni solitaria.

Illustrazione dell'inversione dell'azoto in un'ammina terziaria, che mostra la rapida l'oscillazione attraverso uno stato di transizione planare con ibridazione sp² a temperatura ambiente.

A temperatura ambiente, l’azoto inverte rapidamente la sua configurazione. Il fenomeno è noto come inversione dell’azoto, ossia, una rapida oscillazione dell’atomo e dei suoi ligandi, nel corso della quale l’azoto passa attraverso uno stato di transizione planare in cui ha ibridazione sp2. Come conseguenza, se l’azoto è il solo centro chirale della molecola, non c’è attività ottica in quanto si viene a formare una miscela racemica. L’inversione di configurazione viene evitata solamente in alcuni casi in cui l’azoto fa parte di una struttura ciclica che la impedisce. Dunque, la presenza di un centro chirale può non essere sufficiente per permettere la separazione dei rispettivi enantiomeri.[4]

Nota: nel 1874, Jacobus Henricus van ‘t Hoff e Joseph Achille Le Bel basandosi anche sui risultati ottenuti da Pasteur, per primi ipotizzarono la “teoria dell’atomo di carbonio tetraedrico”. Per questo lavoro van ’t Hoff ricevette il primo premio Nobel per la chimica nel 1901.[17]

Molecole chirali senza centri chirali

La chiralità può essere presente anche in assenza di un centro chirale, ed essere conseguenza della mancanza di libera rotazione attorno a un legame doppio o singolo.[18] Ciò ad esempio si osserva nel caso dei:

  • derivati allenici, composti organici che presentano due doppi legami cumulati, cioè due doppi legami localizzati sullo stesso atomo di carbonio;[19]
  • derivati bifenilici: composti costituiti da due anelli aromatici collegati da un singolo legame che non possono ruotare liberamente a causa dell’impedimento sterico dei sostituenti.[20]

Illustrazione della chiralità assiale negli alleni e nei derivati bifenilici, che mostra come la chiralità possa derivare dalla rotazione impedita attorno a un legame, anziché dalla presenza di un centro chirale.

In questo caso la chiralità è conseguente alla presenza di un asse chirale piuttosto che di un centro chirale. Questo tipo di chiralità è noto come chiralità assiale.[21]

Composti meso

I composti meso o forme meso sono stereoisomeri che possiedono due o più centri chirali ma sono sovrapponibili alla loro immagine speculare, dunque sono achirali, e come tali otticamente inattivi. Inoltre posseggono un piano di simmetria interno che taglia la molecola in due metà, ognuna immagine speculare dell’altra.[8]

I composti meso sono classificati come diastereoisomeri, ossia stereoisomeri diversi dagli enantiomeri.
Per una molecola con n centri di chiralità il numero massimo di possibili stereoisomeri è 2n.[2]
Si consideri il 2,3-butandiolo. La molecola presenta due centri di chiralità, i carboni 2 e 3, quindi si potrebbero avere 22 = 4 stereoisomeri, le cui strutture sono riportate in figura, secondo le proiezioni di Fischer, e indicate come A, B, C, D.

Proiezioni di Fischer dei quattro stereoisomeri del 2,3-butandiolo, che illustrano gli enantiomeri (A e B) e il composto meso achirale (C o D) con il suo piano di simmetria interno.

Le strutture A e B sono l’una l’immagine speculare dell’altra e non sono sovrapponibili, dunque sono una coppia di enantiomeri.
Le strutture C e D sono l’una l’immagine speculare dell’altra, ma sono sovrapponibili. Se infatti si ruota la struttura C o D di 180°, le due strutture si possono sovrapporre. Quindi non sono enantiomeri: sono la stessa molecola scritta con orientamento differente. Inoltre hanno un piano di simmetria interno che le suddivide in due metà, l’una immagine speculare dell’altra. Dunque, la struttura C (o D) è un composto meso perché ha centri chiarali, è sovrapponibile alla sua immagine speculare e presenta un piano di simmetria interno che divide la molecola in due metà speculari.[2]

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Isomeria: definizioni, tipi, con esempi pratici

Il fenomeno per cui due o più composti chimici differenti presentano la stessa formula molecolare è chiamato isomeria, dal greco isos che significa uguale e meros che significa parte, concetto e termine introdotti dallo scienziato svedese Jacob Berzelius nel 1830.[1]
L’isomeria è conseguenza del fatto che gli atomi presenti in una stessa formula molecolare possono unirsi in diversi modi a dare composti, detti isomeri, che hanno proprietà fisiche e chimiche differenti.
L’isomeria può essere di due tipi: isomeria di struttura e stereoisomeria, a loro volta suddividibili in ulteriori sottotipi.[2]

Diagramma ad albero che illustra i tipi di isomeria: isomeria strutturale e stereoisomeria, ciascuna con ulteriori suddivisioni.

Indice

Isomeria di struttura

Nella isomeria di struttura, anche detta strutturale o di costituzione, gli isomeri differiscono tra di loro in quanto gli atomi costituenti sono legati in modi e sequenze differenti.[3]
Esistono diversi sottotipi di isomeria di struttura: l’isomeria di posizione, di gruppo funzionale e di catena.

Isomeri di posizione

Nella isomeria di posizione o posizionale gli isomeri hanno gli stessi gruppi funzionali ma disposti in posizioni diverse sulla stessa catena carboniosa.[2]
Un esempio è il composto di formula molecolare C6H4Br2, di cui esistono tre isomeri: l’1,2-dibromobenzene, l’1,3-dibromobenzene e l’1,4-dibromobenzene. I tre isomeri differiscono per la posizione degli atomi di bromo sulla struttura ciclica.

Illustrazione che mostra come gli atomi di bromo occupano posizioni diverse sull’anello benzenico negli isomeri del dibromobenzene.

Un altro esempio è il composto di formula molecolare C3H8O, di cui esistono due isomeri: 1-propanolo o alcol n-propilico, e il 2-propanolo o alcol isopropilico. Questi isomeri differiscono per la posizione del gruppo ossidrilico lungo la catena carboniosa.

Isomeri di gruppo funzionale

Nella isomeria di gruppo funzionale, anche detta isomeria funzionale, gli atomi sono organizzati in modo da formare gruppi funzionali diversi.[2]
Un esempio è il composto di formula molecolare C2H6O, di cui esistono due isomeri: il dimetiletere o etere dimetilico e l’etanolo o etil alcool, che presentano gruppi funzionali diversi, un gruppo etere, –O–, e un gruppo ossidrilico, –OH.

Isomeri di catena

Nella isomeria di catena gli isomeri differiscono nella disposizione delle catene carboniose, che possono essere ramificate o lineari.[2]
Un esempio è il composto di formula molecolare C5H12, di cui esistono tre isomeri: l’n-pentano, il 2-metilbutano o isopentano e il 2,2-dimetilpropano o neopentano.Strutture dei tre isomeri di catena del pentano: n-pentano, 2-metilbutano e 2,2-dimetilpropano.Esempi di isomeria di catena si trovano anche tra lipidi. Ad esempio, nel gruppo degli acidi grassi a catena corta risultano isomeri di catena l’acido butirrico e l’acido isobutirrico, che hanno formula molecolare C4H8O2, e l’acido valerico, l’acido isovalerico e l’acido 2-metilbutirrico, che hanno formula molecolare C5H10O2.

Stereoisomeria

Nella stereoisomeria gli isomeri hanno lo stesso numero e tipo di atomi e legami ma differiscono nell’orientazione degli atomi nello spazio. Questi isomeri sono detti stereoisomeri, dal greco stereos che significa “solido”.La stereoisomeria può essere di due tipi: isomeria conformazionale e isomeria configurazionale. Quest’ultima è suddividibile in due ulteriori sottotipi, l’isomeria ottica e l’isomeria geometrica.[5]

Isomeria conformazionale

Nella isomeria conformazionale gli stereoisomeri possono essere interconvertiti a seguito di rotazioni attorno a uno o più legami singoli, i legami σ. Queste rotazioni producono disposizioni differenti degli atomi nello spazio che non sono sovrapponibili.[7]
Se ad esempio si considera l’etano, di formula molecolare C2H6, guardando la molecola da una estremità lungo la direzione del legame carbonio-carbonio, gli atomi di idrogeno di un gruppo metilico possono trovarsi rispetto agli atomi di idrogeno dell’altro gruppo metilico in una delle seguenti conformazioni.

  • In conformazione eclissata, nella quale gli atomi di idrogeno di un gruppo metilico sono nascosti da quelli dell’altro gruppo metilico. L’angolo tra i legami carbonio-idrogeno (detto angolo diedro) può essere di 0, 120, 240 o 360 gradi. Questa è la conformazione a più alta energia, dunque la meno stabile.
  • In conformazione sfalsata, nella quale gli atomi di idrogeno di un gruppo metilico sono completamente sfalsati rispetto a quelli dell’altro gruppo metilico, quindi l’angolo diedro può essere 60, 180 o 300 gradi. Questa è la conformazione a più bassa energia, quindi la più stabile.
  • In conformazioni sgembe, che corrispondono a una qualsiasi delle conformazioni intermedie tra le due precedenti.

Conformeri dell'etano visti mediante proiezione di Newman: confronto degli angoli diedri e dei livelli energetici.

La maggiore o minore stabilità dei conformeri dipende dal grado di sovrapposizione delle coppie di elettroni dei legami carbonio-idrogeno dei due gruppi metilici:

  • nella conformazione sfalsata la loro distanza è la massima;
  • nella conformazione eclissata le coppie elettroniche sono alla distanza minima possibile.

La barriera di energia potenziale tra le due conformazioni opposte è piccola, circa 2,8 kcal/mole (11,7 kJ/mole). A temperatura ambiente l’energia cinetica posseduta dalle molecole è di 15-20 kcal/mole (62,7-83,6 kJ/mole), più che sufficiente a permettere la libera rotazione attorno al legame carbonio-carbonio. Di conseguenza non è possibile isolare i singoli conformeri dell’etano.

Nota: considerando il doppio legame carbonio-carbonio, la barriera di energia potenziale che si oppone alla libera rotazione attorno al doppio legame è di circa 63 kcal/mole (264 kJ/mole), e corrisponde all’energia necessaria per rompere il legame π (Vedi isomeria geometrica). Questa quantità di energia è circa tre volte l’energia cinetica posseduta dalle molecole a temperatura ambiente, alla quale quindi la libera rotazione è impedita. Solamente a temperature superiori ai 300° le molecole acquistano un’energia termica sufficiente a rompere il legame π, permettendo così la libera rotazione intorno al legame σ rimanente, e quindi l’interconversione tra gli isomeri cis e trans (vedi isomeria geometrica).[2]

Isomeria configurazionale

Nella isomeria configurazionale l’interconversione tra gli isomeri non avviene a seguito di rotazioni attorno a legami singoli ma comporta la rottura di legami e la formazione di nuovi legami, quindi a temperatura ambiente non avviene spontaneamente.[7]
Esistono due sottotipi di isomeria configurazionale: l’isomeria ottica e l’isomeria geometrica.

Isomeri ottici

L’isomeria ottica è caratteristica delle molecole che hanno uno o più centri di chiralità o centri chirali, ossia un atomo tetraedrico che leghi quattro ligandi differenti. Il centro chirale può essere un atomo di carbonio, fosforo, zolfo o azoto.

Centro di chiralità illustrato come un atomo tetraedrico con quattro ligandi distinti.

Nota: la parola chiralità deriva dal greco cheiros che significa “mano”.

Gli isomeri ottici mancano di un centro di simmetria o di un piano di simmetria, sono immagini speculari gli uni degli altri, e non sono sovrapponibili. Questi stereoisomeri sono detti enantiomeri, dal greco enántios che significa “contrario”.A differenza degli altri isomeri, due enantiomeri hanno identiche proprietà fisiche e chimiche con due sole eccezioni.

  • La direzione di rotazione del piano della luce polarizzata, da cui il nome di isomeria ottica.
    Se una soluzione di un enantiomero ruota il piano della luce polarizzata in senso orario, l’enantiomero viene indicato con il simbolo (+). Di contro, una soluzione dell’altro enantiomero ruota il piano della luce polarizzata in senso antiorario dello stesso angolo, e l’enantiomero è indicato con il simbolo (–).
  • Sebbene spesso indistinguibili dalla maggior parte delle tecniche, due enantiomeri possono essere distinti in un ambiente chirale, come il sito attivo di enzimi chirali.[9]

Si noti che per una molecola con n centri chirali esiste un numero massimo di stereoisomeri pari a 2n.

Isomeri geometrici

L’isomeria geometrica, anche detta isomeria cis-trans, è caratteristica delle molecole dove non è possibile la libera rotazione tra due atomi per la presenza di strutture rigide come:

  • i composti con doppi legami carbonio-carbonio, carbonio-azoto o azoto-azoto, dove la rigidità è dovuta al doppio legame;
  • i composti ciclici, dove la rigidità è dovuta alla presenza dell’anello.[10]

Un esempio di isomeria geometrica dovuta a un doppio legame carbonio-carbonio si ha con lo stilbene, composto di formula molecolare C14H12, di cui esistono due isomeri. In uno, definito isomero cis, i gruppi uguali sono dalla stessa parte rispetto al piano individuato dal doppio legame, mentre nell’altro, detto isomero trans, i gruppi uguali sono da parti opposte.

Esempio di isomeria cis-trans con molecole di stilbene che mostrano gruppi identici sullo stesso lato e sul lato opposto di un doppio legame.

Nota: i termini trans e cis derivano dal latino trans che significa “al di la”, e cis che significa “di qua”.

Nei composti ciclici, l’isomeria cis-trans (non complicata dalla presenza di centri chirali) si osserva in sistemi con un numero pari di atomi di carbonio e sostituenti in posizioni opposte (para-sostituiti).[5] Un esempio è l’1,4-dimetilcicloesano, un cicloalcano, idrocarburi ciclici di formula generale CnH2n,, di cui esistono due stereoisomeri, il cis-1,4-dimetilcicloesano e il trans-1,4-dimetilcicloesano.

Configurazioni cis e trans del 1,4-dimetilcicloesano che illustrano l’isomeria geometrica nelle strutture cicliche.
Questo tipo di stereoisomeria non può esistere nel caso in cui uno dei due atomi non liberi di ruotare leghi due gruppi identici. Perché? Per passare dallo stereoisomero cis a quello trans è necessario scambiare tra di loro i due gruppi legati a uno dei due atomi impegnati nel doppio legame. Se i due gruppi sono uguali lo scambio porta alla formazione della stessa molecola.[7]

Nota: gli isomeri geometrici sono un caso particolare di diastereomeri o diastereoisomeri, che, a loro volta, sono stereoisomeri che non sono l’uno l’immagine speculare dell’altro. Gli altri diastereomeri sono i composti meso e gli isomeri ottici non enantiomerici.[11]

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