Archivi categoria: Fitochimici

I fitochimici sono composti organici, generalmente a basso peso molecolare, prodotti dalle piante. Sulla base delle caratteristiche strutturali possono essere suddivisi in tre gruppi: i polifenoli, i carotenoidi e i glucosinolati.
Sono il prodotto del metabolismo primario e secondario delle piante nelle quali svolgono molteplici funzioni alcune delle quali sono di seguito elencate.

  • Sono importanti nel corso della crescita.
  • Intervengono nella difesa nei confronti di predatori, come gli erbivori, di competitori, e di funghi, batteri e virus patogeni.
  • Sono importanti nella protezione nei confronti di agenti ambientali ostili come i raggi UV.
  • Considerando i vegetali commestibili, concorrono a determinarne le caratteristiche organolettiche, come il colore, il sapore e l’aroma.

I fitochimici non sono nutrienti essenziali per l’uomo.
Sono presenti nelle verdure, nei frutti, nei cereali, nei legumi, e nei prodotti da essi derivati, come il vino, il tè, il cacao o l’olio extravergine di oliva. E si ritiene che gli effetti salutari ascritti dalla letteratura scientifica e dalla tradizione al loro consumo siano dovuti anche alla loro presenza.
In che modo i fitochimici ci proteggono dall’insorgenza di molte malattie? Sebbene alcuni fitochimici siano tossici, altri agiscano come antinutrienti, ossia interferiscono con l’assorbimento di alcun nutrienti, studi interventistici e osservazionali hanno dimostrato che molti di loro sembrano essere utili nella prevenzione dell’insorgenza di condizioni patologiche quali le malattie cardiovascolari, alcuni tumori o le malattie neurodegenerative.
Ma come agiscono questi composti a livello molecolare? A seguito del legame a recettori di membrana e/o intracellulari attivano specifiche vie di segnalazione determinando la modifica dell’attività di alcuni enzimi e/o la fosforilazione di fattori di trascrizione, influenzando così l’espressione di specifici geni. E, a seconda della cellula bersaglio, ne risulterà l’attivazione o l’inibizione di determinati processi cellulari.
I fitochimici possono essere considerati farmaci? La bassa biodisponibilità e il loro metabolismo fa si che questi composti e i loro metaboliti siano presenti in circolo in concentrazioni molto basse, ben lontane da quelle richieste per un’azione farmacologica. A ciò va aggiunto che in dosi farmacologiche hanno effetti citotossici.

Biosintesi dei flavonoidi nelle piante

La biosintesi dei flavonoidi, probabilmente la via metabolica meglio caratterizzata tra quelle del metabolismo secondario delle piante, fa parte della via biosintetica dei fenilpropanoidi, che porta alla formazione, oltre che dei flavonoidi, anche di un’ampia gamma di composti fenolici quali gli acidi idrossicinnamici, gli stilbeni, i lignani e le lignine.
La biosintesi dei flavonoidi è legata al metabolismo primario da intermedi di derivazione sia mitocondriale che plastidica. Queste molecole dovranno essere trasportate nel citoplasma per essere utilizzate, in quanto sembra che la maggior parte degli enzimi coinvolti sino ad ora caratterizzati lavorino uniti in complessi localizzati nel citosol della cellula.
I prodotti finali raggiungono i vari distretti intra- od extracellulari, con i flavonoidi coinvolti nella pigmentazione in genere trasportati all’interno dei vacuoli.
La biosintesi di questo ampio gruppo di polifenoli richiede come substrati iniziali una molecola di p-cumaril-CoA e tre di malonil-CoA.

Biosintesi dei flavonoidi
Biosintesi dei Polifenoli Flavonoidi

Indice

Biosintesi del p-cumaril-CoA

Il p-cumaril-CoA rappresenta il più importante punto di ramificazione della via dei fenilpropanoidi, essendo il precursore di un’ampia varietà di prodotti fenolici, di natura sia flavonoide che non flavonoide.
E’ prodotto a partire dalla fenilalanina attraverso un nucleo di tre reazioni catalizzate da enzimi ad azione citosolica detti enzimi del gruppo I od ad azione precoce, in ordine di azione:

  • fenilalanina ammoniaca liasi (EC 4.3.1.24);
  • trans-cinnamato 4-monoossigenasi (EC:1.14.14.91);
  • 4-cumarato:CoA ligasi (EC 6.2.1.12).
Biosintesi del p-cumaril-CoA dalla fenilalanina
Biosintesi del p-Cumaril-CoA

Sembra che questi enzimi si associno a formare un complesso multienzimatico ancorato al reticolo endoplasmatico, ancoraggio probabilmente assicurato dalla cinnamato 4-idrossilasi che inserisce il proprio dominio N-terminale nella membrana del reticolo stesso. Queste strutture, definite “metaboloni”, fanno si che il prodotto di una reazione sia incanalato direttamente verso il sito attivo dell’enzima che catalizza la reazione successiva.
Con l’esclusione della cinnamato 4-idrossilasi, in tutte le specie analizzate gli enzimi che intervengono a valle della fenilalanina ammoniaca liasi sono codificati da piccole famiglie di geni.
Le diverse forme isoenzimatiche mostrano pattern di espressione temporali, tissutali e indotti da elicitori, distinti; sembra infatti che ogni membro di ciascuna famiglia possa essere utilizzato soprattutto per la sintesi di uno specifico composto, agendo in questo modo come punto di controllo del flusso del carbonio verso le vie di biosintesi dei flavonoidi, lignani e lignine.

Nota: la fenilalanina, che da il nome alla via dei fenilpropanoidi, è un prodotto della via dell’acido shikimico, via che converte semplici precursori derivanti dal metabolismo dei carboidrati, fosfoenolpiruvato e eritrosio-4-fosfato, intermedi rispettivamente dalla glicolisi e della via del pentoso fosfato, negli aminoacidi aromatici fenilalanina, tirosina e triptofano. Poiché gli animali non posseggono questa via metabolica, presente invece nelle piante e nei microorganismi, non sono in grado di sintetizzare i tre aminoacidi suddetti, che dunque risultano essenziali.

Fenilalanina ammonica liasi

E’ uno degli enzimi meglio studiati e caratterizzati del metabolismo secondario delle piante. Non richiede cofattori e catalizza la reazione che lega il metabolismo primario e quello secondario: la deaminazione della fenilalanina in acido trans-cinnamico, con liberazione dell’azoto in forma di ammoniaca e inserzione di un doppio legame trans tra il C7 e il C8 della catena laterale.

Fenilalanina ⇄ Acido trans-Cinnamico + NH3

Quindi dirige il flusso di carbonio dalla via dello shikimato a quella delle varie branche del metabolismo fenilpropanoico. L’ammoniaca rilasciata viene probabilmente fissata nella reazione catalizzata dalla glutammina sintetasi.
L’enzima presente nelle monocotiledoni è anche in grado di agire come tirosina ammoniaca liasi (EC 4.3.1.25), convertendo direttamente la tirosina in acido p-cumarico (saltando quindi la idrossilazione in posizione 4), anche se con efficienza minore rispetto all’attività sulla fenilalanina.
In tutte le specie sono state trovate numerose copie dei geni per la fenilalanina ammoniaca liasi, copie che probabilmente rispondono in maniera differente a stimoli interni ed esterni. La trascrizione del gene e dunque l’attività dell’enzima è infatti sottoposta a regolazione da parte di fattori interni legati allo sviluppo e fattori esterni. Di seguito alcuni esempi che richiedono un aumento dell’attività dell’enzima.

  • La fioritura.
  • La produzione di lignina per il rafforzamento della parete cellulare secondaria delle cellule dello xilema.
  • La produzione di pigmenti per attrarre gli impollinatori.
  • L’attacco di patogeni che richieda la produzione di fitoalessine di natura fenilpropanoica, o l’esposizione a raggi UV.

trans-Cinnamato 4-monoossigenasi

Enzima della famiglia del citocromo P450 (EC 1.14.-.-), è una monossigenasi a localizzazione microsomiale, contenente un gruppo eme come cofattore, e dipendente dal NADPH e dall’ossigeno molecolare. Catalizza l’introduzione del gruppo ossidrilico in posizione 4 dell’acido trans-cinnamico (gruppo ossidrilico che si osserva nella maggior parte dei flavonoidi conosciuti) e formazione di acido p-cumarico.

Acido trans-Cinnamico + NADPH + H+ + O2 ⇄ Acido p-Cumarico + NADP+ + H2O

Questa reazione fa parte anche della via di sintesi degli acidi idrossicinnamici.
Aumenti nei livelli di trascrizione del gene e di attività dell’enzima sono stati osservati in correlazione con la sintesi di fitoalessine in risposta a infezioni fungine, la lignificazione o lesioni alla pianta.

4-Cumarato:CoA ligasi

In presenza di Mg2+ che agisce da cofattore, permette l’attivazione ATP-dipendente del gruppo carbossilico dell’acido p-cumarico e degli altri acidi idrossicinnamici, di per se piuttosto inerti, attraverso la formazione dei corrispondenti CoA-tioestere.

Acido p-Cumarico + ATP + CoA ⇄ p-Cumaril-CoA + AMP + PPi

In genere l’acido p-cumarico e l’acido caffeico sono i substrati preferiti, seguiti dall’acido ferulico e dall’acido 5-idrossiferulico, mentre si osserva una bassa attività nei confronti dell’acido trans-cinnamico e nessuna nei confronti dell’acido sinapico. I CoA-tioesteri prodotti sono in grado di entrare in differenti vie metaboliche come:

  • la riduzione ad aldeidi e alcol (monolignoli);
  • l’addizione di unità di acetato fornite dal malonil-CoA, nel caso della biosintesi dei flavonoidi e degli stilbeni;
  • il trasferimento a molecole accettrici.

Va infine sottolineato che l’attivazione del gruppo carbossilico può essere ottenuta anche attraverso il trasferimento al glucosio dipendente non dall’ATP ma dall’UDP-glucosio.

Biosintesi del malonil-CoA

Il malonil-CoA non deriva dalla via dei fenilpropanoidi, ma si forma nella reazione catalizzata dall’acetil-CoA carbossilasi (EC 6.4.1.2, la forma citosolica). L’enzima, che ha come cofattori la biotina e il Mg2+, catalizza la carbossilazione ATP-dipendente dell’acetil-CoA, utilizzando lo ione bicarbonato come donatore di anidride carbonica (CO2).

Acetil-CoA + HCO3 + ATP → Malonil-CoA + ADP + Pi

Si trova sia nei plastidi, dove interviene nella sintesi degli acidi grassi, che nel citoplasma, ed è quest’ultimo che catalizza la formazione del malonil-CoA che sarà utilizzato nella biosintesi dei flavonoidi e di altri composti. Aumenti dei livelli di trascrizione del gene e dell’attività dell’enzima sono indotti in risposta a stimoli che aumentano la biosintesi di questi polifenoli, come l’esposizione a funghi patogeni o raggi UV.
A sua volta l’acetil-CoA può essere prodotto nei mitocondri, plastidi, perossisomi e nel citosol attraverso differenti vie metaboliche. Quello che è utilizzato nella biosintesi del malonil-CoA e quindi dei flavonoidi è di derivazione citosolica, prodotto nella reazione catalizzata dalla ATP-citrato liasi (EC 2.3.3.8) che converte citrato, ATP e CoA in acetil-CoA, ossalacetato, ADP e fosfato inorganico.

Passaggi iniziali della biosintesi dei flavonoidi

Il primo passo nella biosintesi dei flavonoidi è catalizzato dalla calcone sintasi (EC 2.3.1.74), un enzima ancorato al reticolo endoplasmatico e privo di cofattori noti.
In presenza di una molecola di p-cumaril-CoA e tre di malonil-CoA, catalizza una serie di decarbossilazioni e condensazioni sequenziali, nel corso delle quali si forma un intermedio polichetide che subisce ciclizzazioni e aromatizzazioni che portano alla formazione dell’anello A, e la risultante struttura dei calconi. Il prodotto delle reazioni suddette è la naringenina calcone (2’,4,4′,6′-tetraidrossicalcone), un 6’-idrossicalcone e il primo flavonoide prodotto.

p-Cumaril-CoA + 3 Malonil-CoA → Naringenina Calcone + 4 CoA + 3 CO2

La reazione, citosolica, è irreversibile grazie al rilascio di tre molecole di CO2 e 4 di CoA.
L’anello B e il ponte centrale a 3 atomi di carbonio della molecole derivano dal p-cumaril-CoA (e quindi dalla fenilalanina), mentre l’anello A dalle tre unità di malonil-CoA.

Biosintesi dei flavonoidi: da dove derivano gli atomi dello scheletro carbonioso
Origine dello Scheletro di Base dei Flavonoidi

Altro possibile prodotto della reazione è il 6’-deossicalcone, la cui sintesi sembra coinvolgere un passaggio addizionale di riduzione catalizzata da una polichetide reduttasi (EC. 1.1.1.-).
Le calcone sintasi di alcune specie, ad esempio l’orzo (Hordeum vulgare), possono accettare come substrati anche il caffeoil-CoA, il feruloil-CoA e il cinnamoil-CoA.
E’ l’enzima più abbondante della via dei fenilpropanoidi, probabilmente perché ha una bassa attività catalitica, ed è infatti considerato l’enzima limitante della via di biosintesi dei flavonoidi.
Come per la fenilalanina ammoniaca liasi, anche la sua sintesi è soggetta a controlli multipli dell’espressione genica ad opera di fattori interni ed esterni. In alcune piante, sono state trovate una o due isoforme, mentre in altre fino a 9.
Appartiene al gruppo delle polichetide sintasi, presenti nei batteri, funghi e piante. Sono enzimi in grado di formare catene polichetidiche attraverso la condensazione sequenziale di unità di acetato provenienti da malonil-CoA. Questa classe di enzimi comprende anche la stilbene sintasi (EC 2.3.1.146), che catalizza la formazione di resveratrolo, un polifenolo non flavonoide difensivo delle piante che ha suscitato molto interesse per la salute umana.
Di solito le piante non accumulano calconi, e infatti dopo la sua formazione la naringenina calcone, nella reazione catalizzata dalla calcone isomerasi (EC 5.5.1.6) viene convertita in (2S)-naringenina, un flavanone.
L’enzima, il primo della via di biosintesi dei flavonoidi a essere scoperto, catalizza una isomerizzazione stereospecifica, chiudendo l’anello C. Sono state ritrovate due tipi di calcone isomerasi, indicate come tipo I e II. Il tipo I può utilizzare come substrati solo i 6’-idrossicalconi, come la naringenina calcone, mentre il tipo II, prevalente nelle leguminose, può catalizzare l’isomerizzazione sia dei 6’-idrossi- che dei 6’-deossicalconi.
Da notare che con i 6’-idrossicalconi l’isomerizzazione può avvenire anche non enzimaticamente a formare una miscela racemica, sia in vitro che in vivo; addirittura sembra con un grado tale da permettere una moderata sintesi di antociani. Al contrario in condizioni fisiologiche i 6’-deossicalconi sono stabili, per cui è richiesta la catalisi ad opera della isomerasi di tipo II per convertirli in flavanoni.
L’enzima assicura un aumento della velocità di reazione di 107 volte rispetto alla reazione spontanea, ma con una cinetica decisamente più lenta con i 6’-deossicalconi rispetto ai 6’-idrossicalconi. Infine permette l’ottenimento dei (2S)-flavanoni, che sono quelli biosinteticamente necessari.
Al pari di altri enzimi della biosintesi dei flavonoidi, anche la sua sintesi è soggetta a uno stretto controllo. E come la fenilalanina ammoniaca liasi e la calcone sintasi, è indotta dagli elicitori.
Nella reazione catalizzata dalla flavanone-3β-idrossilasi (EC 1.14.11.9) i (2S)-flavanoni vanno incontro a una isomerizzazione stereospecifica che li converte nei rispettivi (2R,3R)-diidroflavonoli. In particolare la naringenina è convertita in diidrocampferolo.
L’enzima, citosolico, è una non-eme diossigenasi dipendente dal Fe2+ e dal 2-ossiglutarato, e dunque appartenente alla famiglia delle diossigenasi 2-ossiglutarato-dipendenti (il che le distingue delle altre idrossilasi della via di biosintesi dei flavonoidi che sono enzimi citocromo P450).

La naringenina calcone, la (2S)-naringenina e il suo derivato diidrocampferolo (diidroflavonolo) sono intermedi centrali nella biosintesi dei flavonoidi, essendo punti di ramificazione da cui si diparte la sintesi di distinte sottoclassi di flavonoidi. Ad esempio, direttamente o indirettamente:

Non tutte queste vie di sintesi sono presenti in tutte le piante, o sono attive all’interno di ogni tessuto di una data pianta. Al pari degli enzimi visti in precedenza, anche l’attività di quelli coinvolti in queste vie metaboliche “collaterali” è soggetta a uno stretto controllo, che risulta in un profilo di metaboliti di natura flavonoide tessuto specifico. L’esempio è il chicco d’uva, dove la buccia, la polpa e i semi hanno un profilo ben distinto riguardo al contenuto in antociani, catechine, tannini condensati e flavonoli, la cui sintesi e accumulo è strettamente e temporalmente coordinata nel corso dello sviluppo.

Bibliografia

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Lignani: cosa sono, struttura, sintesi, metabolismo, alimenti

I lignani sono un sottogruppo di polifenoli non flavonoidi.
Sono ampiamente distribuiti nel regno vegetale, essendo presenti in oltre 55 famiglie di piante, dove svolgono funzioni difensive nei confronti di attacchi da parte di funghi e batteri patogeni, e agiscono anche come antiossidanti.
Nell’uomo, studi epidemiologici e fisiologici hanno dimostrato che sono in grado di esercitare effetti positivi nella prevenzione di patologie correlate allo stile di vita, quali il diabete di tipo II e il cancro. Ad esempio, un aumento del loro consumo nella dieta si correla con una riduzione dell’insorgenza di alcuni tipi di tumori estrogeno-dipendenti, come il tumore al seno in donne in postmenopausa.
Inoltre alcuni lignani hanno suscitato anche interesse farmacologico. Esempi o sono:

  • la podofillotossina, ottenuta da piante del genere Podophyllum (famiglia Berberidaceae), una tossina mitotica i cui derivati sono stati utilizzati come chemioterapici;
  • l’arctigenina e la tracheologina, ottenute da piante rampicanti tropicali, che posseggono proprietà antivirali e sono state testate nella ricerca di un farmaco per la cura dell’AIDS.

Indice

Struttura chimica

La loro struttura chimica di base si compone di due unità di fenilpropano legate attraverso un legame carbonio-carbonio che si stabilisce principalmente tra gli atomi centrali delle rispettive catene laterali (posizione 8 o β), legame anche detto β-β’. Meno frequentemente si osservano legami 3-3’, 8-O-4’, o 8-3’; in questi casi i dimeri sono definiti neolignani.
Dunque la loro struttura chimica può essere indicata come (C6-C3)2 e pertanto, al pari degli acidi idrossicinnamici da cui derivano (vedi sotto), appartengono alla classe dei fenilpropanoidi.

Unità di fenilpropano dei lignani
Unità di Fenilpropano

Sulla base dello scheletro carbonioso, del pattern di ciclizzazione e del modo in cui l’ossigeno è incorporato nello scheletro della molecola, possono essere suddivisi in 8 sottogruppi: furani, furofurani, dibenzilbutani, dibenzilbutirrolattoni, dibenzocicloottadieni, dibenzilbutirrolattoli, ariltetraline e arilnafatleni. In aggiunta esiste una notevole variabilità riguardo i livelli di ossidazione delle catene laterali propiliche e di entrambe gli anelli aromatici.
In natura non sono presenti in forma libera ma legati ad altre molecole, in genere glicosilati.
Tra i più comuni si ritrovano il secoisolariciresinolo, il più abbondante, ma in buone quantità anche lariciresinolo, pinoresinolo, matairesinolo e 7-idrossimatairesinolo.

Nota: i lignani si possono presentare non solo in forma di dimeri ma anche di oligomeri più complessi, come i dilignani e i sesquilignani.

Biosintesi

Di seguito verrà presa in esame la biosintesi di alcuni tra i lignani più comuni.
La via metabolica ha inizio a partire da 3 dei 4 acidi idrossicinnamici alimentari più comuni: l’acido p-cumarico, l’acido sinapico e l’acido ferulico (l’acido caffeico non è un precursore dei questo sottogruppo di polifenoli). Quindi in ultima analisi derivano dalla fenilalanina e dunque dalla via dell’acido shikimico.

Vie di sintesi dei lignani
Sintesi dei Lignani

Le prime tre reazioni riducono i gruppi carbossilici degli idrossicinnamati a gruppi alcolici, con formazione di alcol detti monolignoli, ossia l’alcol p-cumarilico, l’alcol sinapilico e l’alcol coniferilico, molecole che entrano anche nella biosintesi della lignina.

  • La prima reazione, che porta all’attivazione degli acidi idrossicinnamici, è catalizzata dalla idrossicinnamato:CoA ligasi o 4-cumarato:CoA ligasi (EC 6.2.1.12), con formazione del corrispettivo idrossicinnamato-CoA, e dunque feruloil-CoA, p-cumaril-CoA e sinapil-CoA.
  • Di seguito intervengono le cinnamoil-CoA ossidoreduttasi NADPH-dipendenti o cinnamoil-CoA reduttasi (EC1.2.1.44), che catalizzano la formazione dell’aldeide corrispondente, con liberazione del coenzima A.
  • Nell’ultima delle tre tappe suddette le cinnamil alcol deidrogenasi o monolignolo deidrogenasi NADPH-dipendenti (EC 1.1.1.195) riducono ulteriormente il gruppo aldeidico ad alcol, con formazione di alcol coniferilico, alcol p-cumarilico e alcol sinapilico.

Il passaggio successivo, la dimerizzazione, comporta l’intervento di meccanismi stereoselettivi, o più precisamente enantioselettivi. Infatti la maggior parte dei lignani delle piante esiste in forma di (+)- o (-)-enantiomeri, ossia isomeri dotati di almeno un centro di chiralità, le cui quantità relative possono variare da specie a specie, ma anche all’interno di organi differenti della stessa pianta, a seconda del tipo di reazioni coinvolte.
La dimerizzazione può essere ottenuta attraverso reazioni catalizzate da laccasi (EC 1.10.3.2). Questi enzimi di per se catalizzano la formazione di radicali che dimerizzando creano una miscela racemica, il che dunque non spiega come si formino le miscele racemiche presenti nelle piante. Il meccanismo più accreditato per spiegare la sintesi stereospecifica chiama in causa l’azione degli enzimi suddetti e di una proteina in grado di dirigere la sintesi verso una o l’altra delle due forme enantiomeriche: la proteina dirigente. Lo schema di reazione potrebbe essere il seguente: l’enzima forma i radicali che sono orientati in modo da ottenere l’accoppiamento stereospecifico desiderato dalla proteina dirigente.

Formula di struttura del lignano (-)-matairesinolo
(-)-Matairesinolo

Ad esempio, la pinoresinolo sintetasi, composta da laccasi e proteina dirigente, catalizza la sintesi stereospecifica del (+)-pinoresinolo a partire da due residui di alcol coniferilico. Di seguito il (+)-pinoresinolo, in due reazione stereospecifiche consecutive catalizzate dalla pinoresinolo/lariciresinolo reduttasi NADPH-dipendente (EC 1.23.1.2), viene dapprima ridotto a (+)-lariciresinolo e poi a (-)-secoisolariciresinolo. Il (-)-secoisolariciresinolo, nella reazione catalizzata dalla secoisolariciresinolo deidrogenasi NAD(P)-dipendente (EC 1.1.1.331 ), è ossidato a (-)-matairesinolo.

Metabolismo intestinale

La loro importanza per la salute dell’uomo deriva in larga misura dalla metabolizzazione che subiscono nel colon da parte del microbiota intestinale, che è parte del più ampio microbiota umano, e che opera deglicosilazioni, para-deidrossilazioni e meta-demetilazioni senza inversione enantiomerica. Le trasformazioni batteriche infatti portano alla formazione di metaboliti dotati di una modesta attività simil-estrogenica, una situazione analoga a quella alcuni isoflavoni, come quelli della soia, di alcuni stilbeni e alcune cumarine. Si parla pertanto di fitoestrogeni. Il prodotto delle reazioni suddette sono i cosiddetti lignani dei mammiferi o enterolignani, come gli agliconi dell’enterodiolo e dell’enterolattone, prodotti rispettivamente a partire dal secoisolariciresinolo e dal matairesinolo.
Osservazioni condotte in animali alimentati con diete ricche di lignani hanno evidenziato la loro presenza in forma non modificata, in basse concentrazioni, nel siero, dimostrando così che possono essere assorbite anche intatti a livello intestinale. Queste molecole esercitano azioni estrogeno-indipendenti, sia in vivo che in vitro, quali l’inibizione dell’angiogenesi, la riduzione del diabete e la soppressione della crescita tumorale.
Nota: con il termine di “fitoestrogeno” si intende una molecola dotata di attività estrogenica o antiandrogenica, almeno in vitro.

Dopo essere stati assorbiti, entrano nel circolo enteroepatico, e a livello epatico possono subire le reazione di fase II ed essere solforati o glucoronidati, per essere infine escreti nelle urine.

Fonti alimentari

La fonte più ricca è rappresentata dai semi di lino, che contengono in prevalenza secoisolariciresinolo, ma in buone quantità anche lariciresinolo, pinoresinolo e matairesinolo (in totale oltre 3,7 mg/100 g di prodotto secco). Si ritrovano anche nei semi di sesamo.

Formula di struttura del lignano (-)-secoisolariciresinolo
(-)-Secoisolariciresinolo

Un’altra fonte importante è rappresentata dai cereali integrali.
Sono presenti anche in altri alimenti, ma in concentrazioni tra le cento e le mille volte inferiori rispetto a quelle osservate nei semi di lino. Esempi sono:

  • le bevande, dove in genere sono più abbondanti nel vino rosso, seguito in ordine decrescente dal tè nero, latte di soia e caffè;
  • la frutta come albicocche, pere, pesche e fragole;
  • le verdure, come le Brassicaceae, l’aglio, gli asparagi e le carote;
  • lenticchie e fagioli.

La loro presenza nei cereali integrali e, in misura minore, nel vino rosso e nella frutta fa si che, almeno nella popolazione che segua una dieta mediterranea, rappresentino la principale fonte di fitoestrogeni.

Bibliografia

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Acidi idrossicinnamici: definizione, struttura, sintesi, cibi

Gli acidi idrossicinnamici o idrossicinnamati sono composti fenolici che fanno parte del gruppo dei polifenoli non flavonoidi.
Sono presenti praticamente in tutte le parti della frutta e verdura anche se le concentrazioni maggiori si ritrovano nelle porzioni esterne dei frutti maturi, concentrazioni che si riducono nel corso della maturazione, mentre il contenuto totale aumenta grazie all’aumentare delle dimensioni del frutto.
Il loro consumo con i cibi è stato associato a un effetto di prevenzione dello sviluppo di malattie croniche come:

  • le malattie cardiovascolari;
  • il cancro;
  • il diabete di tipo 2.

Questi effetti sembra non siano dovuti solamente al loro notevole potere antiossidante, potere che variare in base al pattern metilazione, e soprattutto di idrossilazione dell’anello aromatico, ma anche ad altri meccanismi d’azione come la riduzione dell’assorbimento intestinale del glucosio o la modulazione della secrezione di alcuni ormoni intestinali.

Indice

Struttura chimica

La struttura chimica di base è composta da un anello benzenico cui è legata una catena di tre atomi di carbonio, struttura che è indicata anche come C6-C3. Pertanto possono essere inseriti nel gruppo dei fenilpropanoidi.

Formula di struttura dello scheletro di base degli acidi idrossicinnamici
Scheletro di Base degli Acidi Idrossicinnamici

Gli idrossicinnamati più comuni sono:

  • l’acido caffeico o acido 3,4-diidrossicinnamico;
  • l’acido ferulico o acido 4-idrossi-3-metossicinnamico;
  • l’acido sinapico o acido 4-idrossi-3,5-dimetossicinnamic
  • l’acido p-cumarico o acido 4-cumarico o acido 4-idrossicinnamico.

In natura si trovano associati ad altre molecole, in genere in forma di derivati glicosilati o di esteri dell’acido chinico, tartarico e shikimico (o acido scichimico). Inoltre sono state identificate diverse centinaia di antociani acilati con gli idrossicinnamati sopracitati (in ordine decrescente con l’acido p-cumarico, oltre 150, acido caffeico, circa 100, acido ferulico, circa 60, e acido sinapico, circa 25).
Raramente sono presenti in forma libera, tranne che nei cibi lavorati che abbiano subito congelamento, fermentazione o sterilizzazione. Ad esempio, una conservazione eccessivamente lunga delle arance rosse provoca una idrolisi massiva dei derivati idrossicinnamici a dare acidi liberi, e questo a sua volta potrebbe portare alla formazione di composti maleodoranti quali i vinil-fenoli, indicatori di una senescenza troppo avanzata del frutto.

Biosintesi

La biosintesi degli idrossicinnamati consiste in una serie di reazioni successive a quella catalizzata dalla fenilalanina ammonio liasi (PAL, acronimo dell’inglese phenylalanine ammonia lyase).

Fenilalanina ⇄ Acido trans-Cinnamico + NH3

La reazione, deaminando la fenilalanina a dare acido trans-cinnamico, lega l’aminoacido aromatico agli acidi idrossicinnamici e alle loro forme attivate.

Via di sintesi degli acidi idrossicinnamici dalla fenilalanina
Biosintesi degli Idrossicinnamati

Nel primo passaggio viene introdotto un gruppo ossidrilico in posizione 4 dell’anello aromatico dell’acido trans-cinnamico a dare l’acido p-cumarico. La reazione catalizzata dalla trans-cinnamato 4-monoossigenasi (EC:1.14.14.91).

Acido trans-Cinnamico + NADPH + H+ + O2 ⇄ Acido p-Cumarico + NADP+ + H2O

L’addizione di un secondo gruppo ossidrilico in posizione 3 dell’anello dell’acido p-cumarico porta alla formazione di acido caffeico. La reazione catalizzata dalla p-cumarato 3-idrossilasi (EC 1.14.13.-).

Acido p-cumarico + NADPH + H+ + O2 ⇄ Acido caffeico + NADP+ + H2O

La O-metilazione del gruppo ossidrilico in posizione 3 dell’acido caffeico produce acido ferulico. La reazione catalizzata dalla caffeato 3-O-metiltransferasi (EC:2.1.1.68).

Acido caffeico + SAM ⇄ Acido ferulico + SAH

L’acido ferulico a sua volta è convertito in acido sinapico attraverso due reazione: una idrossilazione in posizione 5 a dare l’acido 5-idrossiferulico, reazione catalizzata dalla ferulato 5-idrossilasi(EC:1.14.-.-), e la successiva O-metilazione dello stesso ossidrile, reazione catalizzata ancora dalla caffeato 3-O-metiltransferasi.

Acido ferulico + NADPH + H+ + O2 ⇄ Acido-5-idrossiferulico + NADP+ + H2O

Acido-5-idrossiferulico + SAM ⇄ Acido sinapico + SAH

Gli idrossicinnamati non sono presenti in quantità elevate in quanto sono rapidamente convertiti in esteri del coenzima A (CoA) o in esteri del glucosio, nelle reazioni catalizzate da idrossicinnamato:CoA ligasi o da O-glucosiltransferasi. Questi intermedi attivati rappresentano punti di ramificazione in quanto in grado di partecipare a un’ampia gamma di reazioni successive, quali la condensazione con il malonil-CoA a dare flavonoidi, o la riduzione NADPH-dipendente a dare lignani (che saranno di seguito utilizzati nella sintesi della lignina).

Fonti alimentari

Tra le fonti più ricche si ritrovano kiwi, mirtilli, prugne, ciliegie, mele, pere, cicoria, carciofi, carote, lattuga, melanzane, grano e caffè.

Acido caffeico

In genere, sia in forma libera che legata ad altre molecole, è l’acido idrossicinnamico più abbondante nella verdura e nella maggior parte della frutta, dove rappresenta il 75-100% del totale degli idrossicinnamati.
Le fonti più ricche sono il caffè, inteso come bevanda, le carote, la lattuga, le patate, anche quelle dolci, ma anche frutti di bosco quali mirtilli, mirtilli rossi e more.
Fonti minori sono rappresentate da uva e prodotti derivati, succo d’arancia, mele, prugne, pesche, e pomodori.
L’acido caffeico e il chinico si legano a formare l’acido clorogenico, presente in molti tipi di frutta e in concentrazione elevata nel caffè.

Acido ferulico

E’ l’acido idrossicinnamico più abbondante nei cereali, che ne sono anche la fonte alimentare principale.
Nel grano il contenuto è compreso tra 0,8 e 2 g/kg di peso secco, che rappresenta fino al 90% del totale dei polifenoli. Si ritrova quasi esclusivamente, fino al 98% del totale, nelle parti più esterne del chicco, ossia lo strato aleuronico e il pericarpo, e quindi il suo contenuto nelle farine dipende dal loro livello di raffinazione, mentre la principale fonte è ovviamente rappresentata dalla crusca. La molecola è presente principalmente nella forma trans, esterificata con arabinoxilani e emicellulose. Infatti solamente il 10% si ritrova in forma libera solubile nella crusca.
Nei cereali sono state ritrovati anche dimeri che formano strutture a ponte tra le catene di emicellulosa.
Nei frutti e nella verdura è molto meno comune dell’acido caffeico. Le principali fonti sono asparagi, melanzane e broccoli, mentre concentrazioni più basse sono state ritrovate nelle more, mirtilli, mirtilli rossi, mele, carote, patate, barbabietole, caffè e succo d’arancia.

Acido sinapico

Le quantità più elevate si ritrovano nella buccia e nei semi degli agrumi (il contenuto del succo d’arancia è decisamente più basso); buoni valori sono presenti anche nel cavolo cinese (o cavolo di Pechino), e in alcune varietà di mirtilli rossi.

Acido p-cumarico

Elevate quantità sono presenti nelle melanzane, le più ricche, nei broccoli e asparagi; altre fonti sono le ciliegie dolci, le prugne, i mirtilli, anche rossi, la buccia e i semi degli agrumi, e il succo d’arancia.

Bibliografia

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Polifenoli dell’uva e del vino: composizione, proprietà, benefici

Il consumo di uva e prodotti derivati, in primis il vino rosso ma solo durante i pasti, è stato associato a numerosi effetti positivi sulla salute, che non si limitano al solo effetto antiossidante/antiradicalico, ma includono anche un’azione:

  • antiinfiammatoria;
  • cardioprotettiva;
  • anticancerosa;
  • antimicrobica;
  • neuroprotettiva

Nell’uva sono presenti numerosi nutrienti quali zuccheri, vitamine, sali minerali, fibre e fitochimici. Tra questi ultimi, i polifenoli si sono dimostrati i composti più importanti nel determinare gli effetti positivi del frutto e dei prodotti derivati.
L’uva è infatti uno dei frutti più ricchi in polifenoli, la cui composizione è fortemente influenzata da diversi fattori quali la varietà o cultivar, le condizioni ambientali in cui avviene la maturazione, eventuali malattie quali infezioni fungine, come anche la lavorazione che subisce.
Al momento le specie di vite principalmente coltivate a livello mondiali sono: l’europea, Vitis vinifera, le nordamericane, Vitis labrusca e Vitis rotundifolia, e ibridi francesi.
Nota: l’uva in realtà non è un frutto ma un’infruttescenza ossia un raggruppamento di frutti: il grappolo. A sua volta il grappolo è composto dal peduncolo, dal raspo o graspo, dai pedicelli, e dalle bacche o acini o chicchi.

Indice

Quali sono i polifenoli dell’uva e del vino?

I polifenoli sono presenti sia in quantità che in varietà decisamente maggiori nell’uva rossa, e quindi nel vino rosso, rispetto a quella bianca. Questo, secondo molti ricercatori, sarebbe alla base dei maggiori benefici sulla salute derivanti al consumo di uva/vino rosso rispetto a quella bianca e i suoi derivati.
I polifenoli dell’uva e del vino sono una complessa miscela di composti flavonoidi, il gruppo più abbondante, e non flavonoidi.
Tra i flavonoidi si ritrovano:

Tra i polifenoli non flavonoidi:

La maggior parte dei flavonoidi presenti nel vino derivano dallo strato epidermico della buccia, mentre il 60-70% del totale dei polifenoli è presente nel vinacciolo. Da notare che oltre il 70% dei polifenoli dell’uva non sono estratti e rimangono nella vinaccia.
Le complesse interazioni chimiche che si stabiliscono tra questi composti, e tra di loro e gli altri composti di natura differente presenti nell’uva e nel vino, sono probabilmente essenziali nel determinare sia la qualità delle uve e del vino che l’ampio spettro di effetti terapeutici propri di questi alimenti.
Nel vino la miscela di polifenoli svolge importanti funzioni essendo in gradi di influenzare:

  • il gusto amaro;
  • l’astringenza;
  • il colore rosso, di cui sono tra i maggiori responsabili;
  • la sensibilità all’ossidazione, essendo sostanze facilmente ossidabili quando esposte all’aria.

Infine sono un conservante importante per il vino stesso e la base per un lungo invecchiamento.

Antociani o antocianine

Sono flavonoidi ampiamente presenti nella frutta e verdura.
Nell’uva si accumulano in modo principale nella buccia (nei primi strati esterni del tessuto ipodermico), cui conferiscono il colore, avendo tonalità che variano dal rosso al blu. In alcune varietà, dette “teinturier”, si accumulano anche nella polpa dell’acino.
Esiste una stretta correlazione tra la sintesi degli antociani e lo sviluppo dell’acino. Quando l’acino raggiunge l’invaiatura, ossia il momento in cui termina la sua crescita, ha inizio la loro sintesi, che determina anche il cambiamento di colore dell’acino stesso che diventa viola. La sintesi raggiunge il massimo livello alla maturazione completa dell’acino.
Tra i flavonoidi del vino sono uno degli antiossidanti più potenti.
Ogni specie e varietà di uva ha una composizione unica in antocianine. Inoltre nelle uve di Vitis vinifera, a seguito di una mutazione a carico del gene che codifica per 5-O-glucosiltransferasi, mutazione che determina la sintesi di un enzima inattivo, sono prodotti solo 3-monoglucosidi, mentre nelle uve derivanti da altre specie avviene anche la glicosilazione in posizione 5. Interessante notare che i derivati 3-glucosidici sono colorati più intensamente dei 3,5-diglucosidi.

Formula di struttura della malvidina-3-glucoside, un antociano
Malvidina-3-glucoside

Nell’uva e nel vino rosso i più abbondanti sono i 3-monoglucosidi della malvidina, la più abbondante sia nell’uva che nel vino, e della petunidina, delfinidina, peonidina, cianidina.
L’idrossile in posizione 6 del glucosio può a sua volta essere acilato con un gruppo acetilico, caffeico o cumarico, acilazione che ne aumenta ulteriormente la stabilità.
Le antocianidine, ossia le forme non coniugate, non sono presenti ne nell’uva ne nel vino, se non in tracce.
Gli antociani sono scarsamente presenti nelle uve bianche, e dunque nel vino bianco.
La composizione in antociani del vino è fortemente influenzata sia dal tipo di cultivar che dalle tecniche di vinificazione, ritrovandosi nel vino in conseguenza di processi di estrazione dalla buccia dovuti alla macerazione delle uve. Di conseguenza vini derivanti da varietà simili di uve possono avere composizioni in antocianine molto diverse.
Insieme alla proantocianidine, sono i polifenoli dell’uva più importanti nel determinare alcune importanti proprietà organolettiche del vino rosso, in quanto sono i principali responsabili dell’astringenza, amarezza, stabilità chimica nei confronti dell’ossidazione, come anche del colore del vino giovane.
Riguardo al colore va sottolineato che con il tempo la loro concentrazione si riduce, mentre il colore è dovuto sempre più alla formazione di pigmenti polimerici prodotti della condensazione degli antociani sia tra di loro che con altre molecole.
Nel corso dell’invecchiamento del vino gli antociani e le proantocianidine possono interagire a dare molecole con struttura complessa che possono parzialmente precipitare.

Flavanoli o catechine

Sono, insieme ai tannini condensati, i flavonoidi più abbondanti, rappresentando fino al 50% del totale dei polifenoli nelle uve bianche e dal 13% al 30% in quelle rosse.
Il loro livello nel vino dipende dal tipo di cultivar.

Formula di struttura della catechina, un flavanolo e uno dei polifenoli dell'uva
Catechina

In genere il flavanolo più abbondante nel vino è la catechina, ma si ritrovano anche epicatechina ed epicatechina-3-gallato.

Proantocianidine o tannini condensati

Formate da unità di catechine, sono presenti nella buccia, nel vinacciolo e nel raspo del grappolo d’uva in forma di:

  • dimeri, di cui i più comuni sono le proacianidine B1-B4, ma possono essere presenti anche le procianidine B5-B8;
  • trimeri, e tra questi la procianidina C1 è la più abbondante;
  • tetrameri;
  • polimeri, formati fino da 8 monomeri.
Formula di struttura della procianidina C1, una proantocianidina
Procianidina C1

Il loro livello nel vino dipende dalle tecniche di vinificazione e dalla varietà dell’uva e, al pari degli antociani, sono molto più abbondanti nei vini rossi, in particolare in quelli invecchiati, rispetto ai bianchi.
Inoltre, come detto in precedenza, insieme agli antociani, i tannini condensati sono importanti nel determinare alcune proprietà organolettiche del vino.

Flavonoli

Sono presenti in una grande varietà di frutta e verdura, anche se in basse concentrazioni.
Nell’uva sono il terzo gruppo di flavonoidi più abbondanti, dopo proantocianidine e catechine.
Si ritrovano principalmente nell’epidermide esterna della buccia, dove agiscono come agenti protettivi nei confronti della radiazione UV-A e UV-B, e hanno un ruolo di copigmentazione insieme agli antociani.
La loro sintesi inizia nel germoglio; la concentrazione più elevata è raggiunta poche settimane dopo l’invaiatura, per poi ridursi quando il chicco aumenta di dimensioni. Il loro contenuto totale è molto variabile, con le varietà rosse spesso più ricche rispetto a quelle bianche.
Nell’uva sono presenti come 3-glucosidi. Il loro profilo dipende dal tipo di uva e cultivar:

  • nell’uva bianca si ritrovano i derivati della quercetina, campferolo e isoramnetina;
  • i derivati della miricetina, laricitrina e siringetina si ritrovano, insieme ai precedenti, solo in quella rossa, a causa della mancata espressione nell’uva bianca del gene che codifica per la flavonoide-3’,5’-idrossilasi.
Formula di struttura della quercetina-3-glucoside, un flavonolo e uno dei polifenoli dell'uva
Quercetina-3-glucoside

In generale i 3-glucosidi e i 3-glucoronidi della quercetina sono i principali flavonoli nella maggior parte delle uve. Nelle uve moscate invece i più rappresentati sono la quercetina-3-ramnoside e la quercetina aglicone.
A differenza dell’uva, nel vino e nel succo d’uva i flavonoli sono presenti anche come agliconi, in conseguenza dell’idrolisi acida che si verifica durante la lavorazione e la conservazione. Si ritrovano nel vino in quantità variabile, e i principali sono i glicosidi della miricetina e quercetina, che da soli rappresentano il 20-50% del totale dei flavonoli del vino rosso.

Idrossicinnamati

Gli acidi idrossicinnamici sono la principale classe di polifenoli dell’uva non flavonoidi e i principali polifenoli del vino bianco.
I più importanti sono gli acidi p-cumarico, caffeico, sinapico e ferulico, presenti nel vino in forma di esteri con l’acido tartarico.
Sono molecole dotate di attività antiossidante e in alcune cultivar bianche di Vitis vinifera, assieme ai flavonoli, sono i principali polifenoli responsabili dell’assorbimento della radiazione ultravioletta a livello dell’acino.

Stilbeni

Sono fitoalessine che, al contrario dei flavonoidi che sono presenti in tutte le piante superiori, sono prodotti in basse concentrazioni solo da poche specie edibili, tra cui la vite.
Insieme agli altri polifenoli dell’uva e del vino anche gli stilbeni, e in particolare il resveratrolo, sono stati associati agli effetti benefici sulla salute conseguenti al consumo della bevanda.

Formula di struttura del trans-resveratrolo, uno stilbene e uno dei polifenoli dell'uva
trans-Resveratrolo

Il loro contenuto aumenta dall’invaiatura sino alla maturazione del chicco, ed è influenzato dal tipo di cultivar, dal clima, dalle tecniche di vinificazione e dalla pressione fungina.
I principali stilbeni presenti nell’uva e nel vino sono:

  • cis– e trans-resveratrolo (3,5,4’-triidrossistilbene);
  • piceide o resveratrolo-3-glucopiranoside e astringina o 3’-idrossi trans-piceide;
  • piceatannolo;
  • dimeri e oligomeri del resveratrolo, detti viniferine, di cui le più importanti sono:

α-viniferina, un trimero;
β-viniferina, un tetramero ciclico;
γ-viniferina, un oligomero altamente polimerizzato;
ε-viniferina, un dimero ciclico.

Nell’uva sono state identificati in tracce anche altri isomeri e forme glicosilate del resveratrolo e del piceatannolo, come il resveratroloside, l’opeafenolo, il resveratrolo di- e triglucoside.
La glicosilazione degli stilbeni è importante per la conservazione, il trasporto, la modulazione dell’attività antifungina e la protezione dalla degradazione ossidativa del vino.
La sintesi di dimeri ed oligomeri del resveratrolo, prodotti sia nell’uva che nel vino, rappresenta un meccanismo di difesa nei confronti di attacchi esogeni, o al contrario è il risultato dell’azione di enzimi extracellulari rilasciati da patogeni nel tentativo di eliminare composti tossici indesiderati.

Idrossibenzoati

I derivati dell’acido idrossibenzoico sono componenti minori dell’uva e del vino.
Nell’uva i principali sono gli acidi gentisico, gallico, p-idrossibenzoico e protocatechico.

Formula di struttura dell'acido gallico, un acido idrossibenzoico
Acido Gallico

A differenza degli idrossicinnamati, che nel vino sono presenti come esteri con l’acido tartarico, si ritrovano in forma libera.
Insieme ai flavonoli, proantocianidine, catechine e idrossicinnamati sono tra i responsabili dell’astringenza del vino.

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Polifenoli dell’olio d’oliva: variabilità e composizione chimica

L’olio di oliva, che si ottiene dalla spremitura delle olive o drupe, il frutto della pianta dell’olivo (Olea europaea), è la principale fonte di lipidi della dieta mediterranea e un’ottima fonte di polifenoli.
I polifenoli, molecole con proprietà antiossidanti, sono presenti nella polpa dell’oliva e, a seguito della spremitura, passano nell’olio.
La concentrazione dei polifenoli dell’olio di oliva è il risultato di una complessa interazione tra vari fattori, sia ambientali che legati al processo di estrazione dell’olio stesso, quali:

  • il luogo di coltivazione;
  • il cultivar (la varietà);
  • il grado di maturazione delle olive al momento del raccolto.
    Il loro livello di solito si riduce con l’eccessiva maturazione delle drupe, anche se ci sono delle eccezioni a queste regole. Ad esempio le olive coltivate nei climi più caldi, a dispetto della loro maturazione più veloce, producono oli più ricchi in polifenoli.
  • il clima;
  • il processo di estrazione. A questo riguardo c’è da sottolineare il fatto che nell’olio d’oliva raffinato il contenuto in polifenoli non è significativo.

Ogni variazione nella concentrazione dei differenti polifenoli dell’olio influenza il gusto, le proprietà nutrizionali e la stabilità dell’olio di oliva stesso. Ad esempio, l’idrossitirosolo e l’oleuropeina, conferiscono all’olio extravergine di oliva un sapore pungente e amaro.

Indice

Classi di polifenoli dell’olio d’oliva

Tra i polifenoli dell’olio d’oliva sono presenti sia molecole con struttura semplice, come gli acidi fenolici e gli alcool fenolici, che complessa, quali i flavonoidi, i secoiridoidi e i lignani.

Flavonoidi

I flavonoidi comprendono glicosidi dei flavonoli (rutina o quercetina-3-rutinoside), dei flavoni (luteolina-7-glicoside), e degli antociani (glicosidi della delfinidina).

Acidi fenolici e alcol fenolici

Tra gli acidi fenolici, i primi polifenoli con struttura semplice a essere osservati nell’olio d’oliva, si ritrovano:

  • gli acidi idrossibenzoici, come l’acido gallico, l’acido protocatecuico, e l’acido 4-idrossibenzoico (tutti con struttura C6-C1);
  • gli acidi idrossicinnamici, come gli acidi caffeico, vanillico, siringico, p-cumarico e o-cumarico (tutti con struttura C6-C3).

Tra gli alcoli fenolici, i più abbondanti sono l’idrossitirosolo (3,4-diidrossifeniletanolo), e il tirosolo [2-(4-idrossifenil)-etanolo].

Idrossitirosolo

L’idrossitirosolo può essere presente sia libero che esterificato con l’acido elenoico a dare oleuropeina e il suo aglicone, sia come componente della molecola verbascoside. Inoltre si può ritrovare in diverse forme glicosidiche, a seconda del gruppo ossidrile cui si va a legare il glucoside.

Idrossitirosolo, un alcol fenolico, e uno dei polifenoli dell'olio di oliva
Idrossitirosolo

E’ uno dei principali composti fenolici presente nelle olive, nell’olio extravergine di oliva e nelle acque di vegetazione.
In natura, la sua concentrazione, come quella del tirosolo, aumenta durante la maturazione del frutto, in parallelo con l’idrolisi di composti con peso molecolare più elevato, mentre il contenuto totale dei composti fenolici e dell’alfa-tocoferolo diminuisce. Può quindi essere considerato come un indicatore del grado di maturazione delle olive.
Nell’olio extravergine di oliva fresco l’idrossitirosolo per la maggior parte si trova impegnato in un legame in forma esterifica, mentre con il passare del tempo, grazie a reazioni di idrolisi, la forma non esterificata diventa quella prevalente.
Infine, la sua concentrazione si correla con la stabilità dell’olio.

Secoiridoidi

Sono i polifenoli dell’olio d’oliva con struttura più complessa, e sono il prodotto del metabolismo secondario dei terpeni.
Sono composti che legano uno zucchero e sono caratterizzati dalla presenza nella loro struttura di acido elenolico (sia nella sua forma glucosidica che agliconica), la molecola comune ai glicosidi secoiroidi della famiglia delle Oleaceae.
A differenza dei tocoferoli, flavonoidi, e acidi e alcol fenolici che di ritrovano in molta frutta e verdura appartenente a famiglie botaniche differenti, i secoiridoidi sono presenti soltanto nelle piante della famiglia delle Oleaceae.
I principali secoiridoidi sono l’oleuropeina, la demetiloleuropeina, il ligstroside e la nuzenide.
In particolare, l’oleuropeina e la demetiloleuropeina, come la verbascoside, sono abbondanti nella polpa, ma si ritrovano anche nelle altre parti del frutto. La nuzenide è presente solo nei semi.

Oleuropeina

L’oleuropeina, il secoiridoide più importante e il principale tra i polifenoli dell’olio d’oliva, è l’estere tra l’idrossitirosolo e l’acido elenoico.

Oleuropeina, uno dei secoiridoidi, polifenoli dell'olio di oliva
Oleuropeina

E’ presente in quantità molto elevate nelle foglie dell’olivo, come anche in tutte le parti del frutto, buccia, polpa e nocciolo compreso.
Si accumula nell’oliva durante la fase di crescita, sino a raggiungere il 14% del peso netto; quando il frutto diventa più verde, la sua quantità si riduce. Infine, quando la drupa vira verso il marrone scuro, colore dovuto alla presenza di antociani, la riduzione nella concentrazione della oleuropeina diventa più evidente. E’ stato inoltre dimostrato che nelle cultivar verdi il suo contenuto è maggiore rispetto alle cultivar nere.
Nel corso della riduzione dei livelli di oleuropeina e di altri secoiridoidi, è possibile osservare un aumento di composti come i flavonoidi, i verbascosidi, e i fenoli semplici. La riduzione del suo contenuto è accompagnata anche da un aumento dei suoi prodotti secondari glicosilati, che raggiungono i valori massimi nelle olive nere.

Lignani

Un altro gruppo di polifenoli dell’olio d’oliva sono i lignani, in particolare (+)-1-acetossipinoresinolo e (+)-pinoresinolo.
Il (+)-pinoresinolo è un composto comune della frazione lignana di diverse piante come il sesamo (Sesamun indicum) e i semi della specie Forsithia, appartenente alla famiglia delle Oleaceae. E’stato ritrovato anche nel nocciolo delle olive.
Il (+)-1-acetossipinoresinolo e (+)-1-idrossipinoresinolo, e i loro glicosidi, sono stati ritrovati nella corteccia dell’oliva (Olea europeae).

Esempi di lignani, una classe di polifenoli, presenti nell'olio di oliva
Lignani

I lignani non sono presenti nel pericarpo delle drupe, ne nei rametti e foglie che possono accidentalmente essere spremuti insieme alle olive.
Pertanto, come riescano a passare nell’olio divenendone una delle frazioni fenoliche più importanti non è ancora noto.
(+)-1-acetossipinoresinolo e (+)-pinoresinolo non sono presenti negli oli di semi, e sono virtualmente assenti dagli oli di oliva vergini raffinati, mentre nell’olio extravergine di oliva possono raggiungere una concentrazione di 100 mg/kg.
Come per i fenoli semplici e i secoiridoidi, esiste una notevole variazione nella loro concentrazione tra gli oli di oliva di varia origine, variabilità probabilmente legata alle differenze tra le zone di produzione, clima, varietà di olive e tecniche di produzione dell’olio.

Bibliografia

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Tè nero: lavorazione, proprietà, benefici per la salute

Il tè nero, al pari delle altre varietà di tè, è un infuso di foglie lavorate di Camellia sinensis, pianta appartenente alla famiglia delle Theaceae.
A differenza di quanto accade per il tè verde, nel corso della lavorazione delle foglie per la produzione del tè nero si verifica la quasi completa ossidazione delle sostanze in esse contenute, in particolare le catechine, un tipo di polifenoli appartenenti al gruppo dei flavonoidi.
Il colore delle foglie lavorate è scuro e l’infuso, da preparare utilizzando un filtro a persona, o un cucchiaino a persona nel caso del prodotto sfuso, per un tempo di infusione di 3-4 minuti in acqua a 95-100 °C, è di colore rosso bruno.
Il tè è una bevanda che ha origini molto antiche, risalenti a quasi 4000 anni fa. E’ una delle bevande più consumate, soprattutto in Asia, dove prevale, in special modo in Cina e Giappone, il consumo del tè verde. Di contro in occidente il tè nero è la varietà più consumata, e lo è anche a livello globale rappresentando circa il 78% del mercato della bevanda.
L’ossidazione subita dalle foglie nel corso della lavorazione riduce i potenziali effetti benefici ascritti ai polifenoli inizialmente presenti.

Indice

Come si produce il tè nero

Per la produzione di tutti i tipi di tè si utilizzano le foglie fresche e più giovani di Camellia sinensis, ritenute di qualità superiore rispetto a quelle più vecchie.
La lavorazione che porterà alla produzione di foglie essiccate pronte per la preparazione del tè nero si compone di quattro fasi: appassimento o asciugatura, arrotolamento, ossidazione, ed essicazione. Questo tipo di lavorazione porta alla quasi totale ossidazione delle sostanze presenti, in particolare delle catechine.
L’appassimento o asciugatura è il processo attraverso il quale viene rimossa l’acqua presente nelle foglie, che ne costituisce circa il 75% del peso, determinando quindi la concentrazione della linfa. L’appassimento, che migliora anche la lavorazione successiva, può essere ottenuto in tre modi differenti:

  • esponendo le foglie alla luce solare;
  • attraverso processi indoor, riscaldando in maniera appropriata le stanze in cui sono riposte le foglie;
  • ricorrendo all’utilizzo di macchinari che ventilano le foglie.

All’appassimento segue l’arrotolamento che, rompendo il tessuto fogliare, facilita la fuoriuscita della linfa e promuove la successiva ossidazione dei polifenoli.
La fase successiva è quella dell’ossidazione, impropriamente detta anche fermentazione. In questo passaggio si verifica l’ossidazione enzimatica, catalizzata dalla polifenolo ossidasi (EC 1.10.3.1), e non enzimatica, per azione dell’ossigeno atmosferico, di circa il 90-95% dei polifenoli presenti. L’ossidazione è accompagnata anche da altri cambiamenti che renderanno le foglie da verdi a rosse. Fattori cruciali sono anche la temperatura, in genere sui 25°C, il pH, l’umidità, 95% o più, la ventilazione e la durata. Questo passaggio è fondamentale nel determinare la qualità del tè, in quanto gli conferisce le sue caratteristiche organolettiche e la composizione in polifenoli, ben diverse da quelle del tè verde che viene prodotto in modo tale da minimizzare i processi di ossidazione.
Da notare che il contenuto in caffeina non varia significativamente.
L’ultima fase è quella dell’essiccazione. Viene condotta a una temperatura di 80-90 °C per circa 20-25 minuti. L’elevata temperatura inattiva la polifenolo ossidasi arrestando i processi di ossidazione enzimatica.

Tearubigine e teaflavine

I processi ossidativi che si verificano durante la produzione del tè nero interessano le catechine monomeriche e gallate, in misura minore i glicosidi delle catechine, in special modo la miricetina, e composti non flavonoidi, ad esempio la teagallina, e portano alla formazione di polifenoli complessi quali le tearubigine, le teaflavine e gli acidi teaflavici.
Le tearubigine, polimeri di catechine di colore brunastro non ancora ben caratterizzati, sono i principali polifenoli del tè nero, rappresentando circa il 20% del peso dell’estratto. Contribuiscono alla ricchezza di gusto, il cosiddetto “corpo”, oltre che al colore.
Le teaflavine, dimeri di catechine di colore rosso-arancio, costituiscono circa il 3-5% del peso dell’estratto e contribuiscono al gusto vivace e astringente, oltre che al colore.
Le principali teaflavine sono:

  • teaflavina-3-gallato;
  • teaflavina-3’-gallato;
  • teaflavina-3-3’-digallato, la più abbondante.

Formule di struttura delle teaflavine, dimeri di catechine presenti nel tè nero

Benefici per la salute

I benefici per la salute del tè nero sono dovuti in gran parte ai suoi polifenoli complessi, tearubigine e teaflavine, essendo le catechine per la maggior parte ossidate nel corso della lavorazione delle foglie.
Di seguito tre esempi.

  • Sono stati messi in evidenza effetti antivirali delle teaflavine che, analogamente alle catechine, sembrano essere efficaci in particolare nei confronti dei virus a RNA singolo a filamento positivo. Tra questi virus si annoverano anche SARS-CoV-1 e SARS-CoV-2, virus appartenenti alla famiglia dei Coronaviridae. Al pari delle catechine, anche per l’azione antivirale delle teaflavine sembrano essere importanti i gruppi galloile.
  • I fitochimici presenti nel tè nero, come quelli del tè verde, sembrano in grado di ridurre l’indice glicemico degli alimenti ricchi di amido. L’effetto sembra dovuto all’inibizione dell’attività della alfa-amilasi pancreatica e di altri enzimi digestivi, e al legame diretto con l’amido, in conseguenza del quale si verrebbe a ridurre la superficie disponibile all’attacco degli enzimi digestivi stessi. L’inibizione è maggiore per gli alimenti privi di glutine, sembra a causa dell’azione del glutine sui polifenoli complessi che quindi non sarebbero in grado di interagire con il polisaccaride. Per approfondimenti si veda l’articolo sui polifenoli del tè.
  • Tearubigine e teaflavine sembrano avere un effetto anticariogeno dovuto all’azione inibitoria sulla amilasi batterica e salivare, azione che appare più efficace di quella delle catechine del tè verde. Il tè nero sembra anche in grado di ridurre la produzione di acidi nella cavità orale.

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Tè verde: produzione, proprietà, benefici per la salute

Il tè verde, al pari degli altri tipi di tè, è un infuso di foglie lavorate di Camellia sinensis, un membro della famiglia delle Theaceae.
La lavorazione delle foglie che porterà al prodotto pronto per l’infusione è tale da ridurre al minimo i processi ossidativi, sia enzimatici che chimici, a carico delle sostanze in esse contenute, in particolare i fitochimici come le catechine, polifenoli appartenenti alla classe dei flavonoidi e le principali responsabili dei benefici per la salute ascritti al tè verde.
Avendo subito modificazioni chimiche poco significative, le foglie mantengono il loro colore verde, mentre la bevanda, da ottenersi utilizzando un filtro a persona, o nel caso del tè sfuso un cucchiaino a persona, per un tempo di infusione circa tre minuti in acqua a 75 °C, è di colore giallo oro.
Ed è al tipo di lavorazione delle foglie che si deve parte delle peculiari proprietà organolettiche della bevanda, come il sapore, che risulta più delicato e leggero rispetto a quello del tè nero, e le sue proprietà salutari, da sempre riconosciute nella cultura orientale.
Solo di recente la comunità scientifica ha iniziato a studiarne i benefici per la salute, riconoscendone il valore preventivo riguardo lo viluppo di molte malattie, come le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di tumore.
E’ stato dimostrato che i polifenoli del tè, in particolare le catechine, sono in grado di attivare vie di segnalazione intracellulari a seguito del legame a specifici recettori di membrana e/o al passaggio all’interno della cellula dove poi si legano a specifici recettori citoplasmatici, mitocondriali o nucleari, in entrambe i casi attivando o inibendo, a seconda del tipo cellulare, determinati processi cellulari.
Dato l’elevato consumo di tè a livello mondiale, anche piccoli effetti sulla salute delle persone potrebbero avere grandi effetti sulla salute pubblica.

Indice

Camellia sinensis

Camellia sinensis è una pianta sempre verde originaria del Sud, Est, e Sud-Est asiatico, che attualmente viene coltivata in almeno 30 paesi, principalmente con clima sub-tropicale o tropicale, sebbene ci siano varietà coltivate in Cornovaglia e nello stato di Washington.
In natura, se indisturbata, può crescere fino a 15-20 metri, mentre nelle piantagioni è tenuta, per facilitarne la coltivazione e la raccolta delle foglie, a un’altezza inferiore al metro e mezzo.
La sua coltivazione si può spingere fino a 1500-2000 metri di altitudine, e molte delle varietà più pregiate di tè sono ottenute da coltivazioni montane grazie al fatto che la pianta cresce più lentamente permettendo alla foglia di acquisire più aromi.
Le varianti maggiormente coltivate, delle quattro conosciute, sono Camellia sinensis var. sinensis, originaria della Cina, e Camellia sinensis var. assamica, originaria dell’India.
Per la produzione delle differenti varietà di tè sono utilizzate le foglie fresche, tra le quali sono scelte le più giovani poiché quelle vecchie sono ritenute di qualità inferiore.
Le foglie fresche sono ricche di polifenoli solubili in acqua, in particolare catechine e catechine glicosilate. Le principali catechine presenti sono l’epigallocatechina-3-gallato o EGCG, la più attiva, l’epigallocatechina, la epicatechina-3-gallato, l’epicatechina. Sono presenti, anche se in quantità minore, la catechina, la gallocatechina, la catechina gallato e la gallocatechina gallato.

Formula di struttura della gallocatechina gallato, una delle catechine del tè verde
Gallocatechina gallato

Questi polifenoli costituiscono il 30-42% del peso secco della foglia. La caffeina costituisce circa il 3% del peso secco della foglia, con variazioni dall’1,4 al 4,5%.
Il cultivar, le caratteristiche del suolo, i metodi di coltivazione, l’altitudine, il clima, il periodo dell’anno in cui avviene la raccolta delle foglie, ovviamente assieme alla lavorazione delle foglie, sono tutti fattori che influenzeranno le caratteristiche organolettiche della bevanda.

Come si produce il tè verde?

Le differenze nella lavorazione delle foglie, che portano alla produzione dei diversi tipi di tè, causano differenti gradi di ossidazione delle sostanze in esse presenti, soprattutto delle catechine.
La lavorazione che porta alla produzione del tè verde è tale da ridurre al minimo i processi ossidativi, sia enzimatici che non enzimatici. Dopo la raccolta, le foglie sono esposte al sole per 2-3 ore e fatte appassire/asciugare. Di seguito, la lavorazione vera e propria procede attraverso tre fasi principali:

  • trattamento termico;
  • arrotolamento;
  • essicazione.

Il trattamento termico, breve e delicato, è il passaggio cruciale per la qualità e le proprietà finali della bevanda. Può essere effettuato sia con il vapore, che è il metodo tradizionale giapponese, che mediante cottura a secco in pentole calde, dei grandi wok, una sorta di torrefazione, che è il metodo tradizionale cinese. Il trattamento termico permette di inattivare gli enzimi presenti nei tessuti fogliari bloccando i processi di ossidazione enzimatica, in particolare quelli a carico dei polifenoli. Inoltre elimina l’odore d’erba, facendo così risaltare quello del tè, e fa evaporare, nel caso del metodo tradizionale cinese, parte dell’acqua della foglia, di cui ne costituisce circa il 75% del peso, rendendola più morbida, così da facilitare il passaggio successivo.
Al trattamento termico segue una fase di arrotolamento che ha lo scopo di facilitare la fase successiva di essiccamento e di distruggere il tessuto fogliare per favorire il rilascio degli aromi della foglia, migliorando la qualità del prodotto.
L’ultima fase è quella dell’essiccazione, che comporta anche la formazione di nuovi composti e migliora l’aspetto del prodotto.

Benefici per la salute

L’assunzione di tè è da sempre associata, almeno nella cultura orientale, Cina e Giappone in primis, a benefici per la salute. Di seguito una breve rassegna di risultati di studi epidemiologici e di laboratorio che hanno indagato il ruolo preventivo che l’assunzione di tè verde può avere nei confronti dello sviluppo di molte patologie. La EGCG, che è la catechina più abbondante presente nel tè verde rappresentando quasi il 60% dei polifenoli presenti nelle foglie secche, sembra svolgere il ruolo principale.
A livello molecolare, per molti degli effetti esercitati dalle catechine sembrano essere essenziali i gruppi galloile presenti nelle posizione 3 e/o 3’.

Malattie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nel mondo, in particolare nei paesi a basso e medio reddito, con una stima di 17,3 milioni di decessi nel 2008, valore che potrebbe aumentare fino a 23,3 milioni entro il 2030.
Un consumo giornaliero di tè, soprattutto tè verde, sembra essere associato a una riduzione del rischio della loro comparsa, in particolare ipertensione e ictus.
Tra i meccanismi proposti sembra essere importante l’accresciuta bioattività del monossido di azoto endoteliale, un potente vasodilatatore, dovuta all’azione dei polifenoli che ne aumenterebbero la sintesi e/o ne ridurrebbero la degradazione mediata dall’anione superossido.

Neoplasie

Molti studi epidemiologici e di laboratorio hanno dato risultati incoraggianti riguardo al possibile ruolo preventivo del tè, in particolare il tè verde, nei confronti dello sviluppo di alcune neoplasie quali i tumori del cavo orale, del tratto digestivo, e del polmone tra coloro che non hanno mai fumato.
I polifenoli del tè sembrano agire non solo come antiossidanti, ma anche come molecole che, direttamente, possono influenzare l’espressione genica e l’attività di diverse vie metaboliche.

Attività antivirale

Recenti studi hanno messo in evidenza gli effetti antivirali delle catechine, in particolare della EGCG del tè verde, e delle teaflavine del tè nero, soprattutto nei confronti dei virus a RNA a singolo filamento positivo. A questo tipo di virus appartiene anche la famiglia dei Coronaviridae, che a sua volta comprende sia il SARS-CoV-1 che il SARS-CoV-2.
Le proprietà antivirali della EGCG sembrano essere dovute alle sue caratteristiche strutturali, ossia alla presenza di gruppi pirogallici e galloilici.

Digestione dell’amido

Studi in vitro hanno evidenziato come i polifenoli del tè verde e del tè nero siano in grado di ridurre l’indice glicemico di alimenti ricchi di amido. Di conseguenza potrebbero essere utili nel controllo del loro indice glicemico. L’effetto sembra essere dovuto all’inibizione della alfa-amilasi pancreatica e di altri enzimi digestivi, e a un’interazione diretta tra l’amido e i fitochimici che ridurrebbe la superficie dei granuli di amido disponibile per l’attacco degli enzimi digestivi stessi. Il tè verde appare essere ugualmente efficace sia nei confronti dei cibi contenenti glutine, nei confronti dei quali il tè nero appare meno efficace, che di quelli privi di glutine.

Perdita di peso

Nella fase di perdita di peso, come durante la fase di mantenimento, è importante mantenere il più costante possibile il dispendio energetico giornaliero.
A partire dagli anni ‘90 dello scorso secolo è stato proposto che il tè verde, grazie al suo contenuto in caffeina e catechine fosse di aiuto per:

  • mantenere o addirittura aumentare la spesa energetica giornaliera;
  • incrementare l’ossidazione dei grassi.

Oltre a questi potenziali effetti termogenici e lipolitici, catechine e caffeina potrebbero essere utili agendo su altri bersagli quali l’assorbimento dei lipidi e l’apporto energetico, forse attraverso il loro impatto sul microbiota intestinale, che è parte del più ampio microbiota umano, e sull’espressione genica.
Sono stati quindi commercializzati prodotti per la perdita di peso e il mantenimento del peso perso a base di estratti di tè verde, contenenti concentrazioni di catechine e caffeina molto maggiori rispetto alla bevanda.
Ma quanto c’è di scientificamente comprovato nelle proprietà “brucia grassi” del tè verde?
La questione sembra essere stata risolta da una accurata meta-analisi di 15 studi che ha analizzato la relazione tra perdita di peso e assunzione dei suddetti prodotti. Lo studio ha evidenziato che i prodotti a base di tè verde inducono, in adulti obesi e in sovrappeso, una diminuzione di peso che:

  • non è statisticamente significativa;
  • è molto piccola;
  • probabilmente non è clinicamente importante.

Quindi, sulla base delle ricerche scientifiche, il tè verde non sembra essere di aiuto nella perdita di peso ne nel mantenimento del peso perso.

Attività anticariogena

Studi in vitro e su animali hanno messo in evidenza che il tè, e nello specifico i suoi polifenoli, sembrano possedere:

  • proprietà antibatteriche nei confronti di patogeni ad azione cariogena, come Streptococcus mutans, come nel caso della EGCG del tè verde;
  • azione inibitoria sulla amilasi salivare e batterica, ruolo in cui le tearubigine e teaflavine del tè nero sembrano più efficaci delle catechine del tè verde;
  • azione inibitoria sulla produzione di acidi nella cavità orale.

Tutte queste caratteristiche rendono il tè verde e il tè nero bevande con una potenziale attività anticariogena.

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Antocianine: dove si trovano, assorbimento e metabolismo

Insieme con le catechine e le proantocianidine, le antocianine o antociani e i loro prodotti di ossidazione sono i flavonoidi più abbondanti nella dieta umana. Le antocianine si ritrovano:

  • in certe varietà di cereali pigmentati, come il riso nero o il mais viola;
  • in alcune verdure a foglia e a radice come melanzane, cavoli rossi, cipolle rosse e ravanelli, nei fagioli;
  • ma soprattutto nella frutta rossa.

Esempio di un alimento ricco di antocianine
Anche nel vino rosso sono presenti antociani (200-350 mg/L) che, nel corso dell’invecchiamento del vino stesso, sono trasformate in varie molecole complesse. Il contenuto nei cibi è generalmente proporzionale all’intensità del colore del frutto o verdura: aumenta nel corso della maturazione e raggiunge valori fino a 2-4 g/kg di peso fresco nel ribes nero e mirtilli rossi americani (cranberries). Questi polifenoli si trovano principalmente nella buccia, tranne che in certi tipi di frutta rossa, come ciliegie e frutti di bosco rossi (ad es. le fragole), dove sono presenti sia nella buccia che nella polpa. Gli antociani più comuni nei cibi sono i glicosidi della cianidina.

Indice

Antocianine nella frutta

  • I frutti di bosco sono la principale fonte di antocianine, con valori variabili tra 66,8 e 947,5 mg/100 g di peso fresco.
  • Altri frutti, come l’uva rossa, le ciliegie e le prugne hanno contenuti variabili tra 2 e 150 mg/100 g di peso fresco.
  • Infine in frutti come pesche, nettarine e alcuni tipi di pere e mele sono scarsamente presenti, con un contenuto inferiori a 10 mg/100 g peso fresco.

Il mirtillo rosso americano, oltre ad avere un contenuto notevolmente elevato di antociani, è uno dei rari alimenti che contiene glicosidi delle sei antocianidine più comunemente trovate nei cibi: cianidina, peonidina, malvidina, pelargonidina, delfinidina, e petunidina. Gli antociani predominanti sono i 3-O-galattosidi e 3-O-arabinosidi della cianidina e peonidina; sono stati rilevati un totale di 13 antociani, principalmente in forma di 3-O-monoglicosi.

Assorbimento intestinale

Fino a poco tempo fa si riteneva che gli antociani, insieme alle proantocianidine e ai derivati dell’acido gallico delle catechine, fossero i polifenoli meno ben assorbiti dall’intestino, con un tempo di comparsa nel plasma coerente con l’assorbimento sia nello stomaco che nell’intestino tenue. In realtà, alcuni studi hanno rivelato che la loro biodisponibilità è stata sottovalutata dal momento che tutti i loro metaboliti potrebbero non essere ancora stati identificati. A questo riguardo va sottolineato che solo una piccola parte delle antocianine presenti negli alimenti è assorbita come tale o come prodotti di idrolisi in cui lo zucchero è stato rimosso. Quindi, una grande quantità di questi polifenoli ingeriti entra nel colon, dove possono anche subire reazioni di glucuronidazione, solfatazione, metilazione, e ossidazione.

Antocianine e microbiota del colon

Sono pochi gli studi che hanno esaminato il metabolismo degli antociani da parte del microbiota intestinale del colon, che è parte del più ampio microbiota umano.
Entro due ore sembra che tutti siano privati della loro componente zuccherina, liberando quindi antocianidine. Le antocianidine sono molecole chimicamente instabili nel pH neutro del colon che possono essere metabolizzate dalla microflora del colon o semplicemente essere degradate chimicamente con produzione di una serie di nuove molecole non ancora completamente identificate ma che comprendono acidi fenolici come:

  • acido gallico;
  • acido protocatecuico;
  • acido siringico;
  • acido vanillico;
  • floroglucinolo (1,3,5-triidrossibenzene).

Queste molecole, grazie alla loro maggiore stabilità sia chimica che microbica, potrebbero essere le principali responsabili delle attività antiossidanti e degli altri effetti fisiologici osservati in vivo e attribuiti agli antociani.

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Polifenoli del tè: quali attività biologiche?

Le foglie della pianta del tè, Camellia sinensis, sono ricche di composti dotati di molte attività biologiche, che spaziano dalla prevenzione dello sviluppo di patologie croniche alla riduzione dell’indice glicemico degli alimenti ricchi di amido.
Nell’infuso sono state individuate più di 4000 molecole differenti, di cui circa un terzo sono polifenoli, i fitochimici più importanti nel determinare il valore nutrizionale della tè.
La maggior parte dei polifenoli del tè appartengono al gruppo dei flavonoidi. Esempi sono le catechine del tè verde, tra cui la più importante e abbondante è la epigallocatechina-3-gallato o EGCG, e le tearubigine e teaflavine del tè nero, per le cui azioni a livello molecolare sembrano essere importanti i gruppi galloile presenti nelle posizioni 3 e/o 3’.

Formula di struttura della epigallocatechina gallato, uno dei polifenoli del te
Epigallocatechina Gallato

Altri composti naturalmente presenti nelle foglie di Camellia sinensis sono:

  • alcaloidi, come caffeina, teofillina e teobromina;
  • aminoacidi, tra i quali uno dei più importanti è la teanina o R-glutamiletilamide, che è anche un neurotrasmettitore cerebrale e uno dei più importanti aminoacidi presenti nel tè verde;
  • proteine;
  • carboidrati;
  • clorofilla;
  • acidi organici volatili, ossia molecole facilmente vaporizzabili che contribuiscono all’aroma della bevanda;
  • fluoro, alluminio e oligoelementi.

Indice

Attività biologiche

I polifenoli, sia in vitro che in vivo, hanno un ampio spettro di attività biologiche che includono:

  • proprietà antiossidanti/pro-ossidanti;
  • un ruolo protettivo nei confronti dello sviluppo del diabete, delle iperlipidemie e di vari tipi di tumori;
  • inibizione dell’infiammazione;
  • attività antivirali;
  • un’attività inibitoria sulla digestione dell’amido;
  • attività anticariogene.

Data la loro abbondante presenza nel tè, negli ultimi anni è cresciuto l’interesse riguardo ai possibili effetti preventivi della bevanda nei confronti di diverse malattie, in particolare delle malattie cardiovascolari, ad esempio nello sviluppo e progressione dell’aterosclerosi.

Meccanismi d’azione

Attualmente si stanno accumulando molte informazioni sui meccanismi cellulari e molecolari attraverso cui i polifenoli del tè esercitano i loro effetti.
Sembra, almeno in vitro, che siano le catechine per il tè verde e le teaflavine e tearubigine per il tè nero, le molecole responsabili degli effetti fisiologici e dei benefici per la salute esercitati dalla bevanda.
Tra gli meccanismi molecolari con cui i polifenoli del tè sembrano agire, sono state osservate modifiche nell’attività di varie protein chinasi conseguenti al loro legame a specifici recettori presenti sulla membrana plasmatica. Le chinasi a loro volta andranno a fosforilare proteine bersaglio, quali ad esempio fattori di trascrizione che potranno così traslocare nel nucleo modificandone l’espressione genica. Questo sembra essere il meccanismo d’azione di EGCG e il meccanismo proposto per le tearubigine, molecole di grandi dimensioni che potrebbero non essere in grado di attraversare la membrana plasmatica.
In aggiunta al legame polifenolo-recettore di membrana, alcuni polifenoli potrebbero essi stessi passare all’interno della cellula legandosi poi a specifici bersagli citoplasmatici, mitocondriali o nucleari.
E, a seconda del tipo cellulare e della loro quantità, i polifenoli del tè potranno attivare o inibire determinati processi cellulari.

Digestione dell’amido

I polifenoli del tè esercitano un effetto inibitorio sulla digestione dell’amido.
Studi in vitro hanno evidenziato che estratti di tè verde, che contengono polifenoli monomerici, hanno una pari efficacia inibitoria sulla digestione dell’amido del pane con e senza glutine, mentre estratti di tè nero, ricchi di tannini, ossia polifenoli polimerici, risultano meno efficaci nel caso del pane con glutine.
Sembra quindi che l’azione inibitoria operata dai tannini sia influenzata negativamente dal glutine, mentre il glutine ha uno scarso effetto inibitorio nei confronti dell’azione dei polifenoli monometrici.
L’effetto inibitorio dei fitochimici è stato attribuito a diversi meccanismi, di seguito brevemente descritti.

  • Un’inibizione competitiva sulla alfa-amilasi pancreatica, azione in cui sembrano essere importante i gruppi galloile.
  • L’inibizione di altri enzimi digestivi presenti nel tratto gastrointestinale.
  • L’interazione con l’amido. I polifenoli potrebbero interagire direttamente con i granuli di amido, attraverso legami idrogeno e forze idrofobiche, riducendo in questo modo la superficie disponibile all’attacco da parte degli enzimi digestivi.
  • Di contro il glutine potrebbe ridurre la quantità di polifenoli in grado di interagire con l’amido e quindi in grado di inibirne la digestione.

I polifenoli del tè potrebbero rappresentare un mezzo per il controllo dell’indice glicemico dei cibi ricchi di amido. Tuttavia va sottolineato che, ad esempio nel caso del pane, per raggiungere un effetto inibitorio reale, l’ingestione di 100 g di pane deve essere accompagnata dalla coingestione di due tazze e mezzo di tè verde o due di tè nero.

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Isoflavoni: cosa sono, dove si trovano, a cosa servono

Gli isoflavoni sono polifenoli privi di colore appartenenti alla famiglia dei flavonoidi.
A differenza della maggior parte degli altri flavonoidi, hanno una distribuzione tassonomica limitata, trovandosi quasi esclusivamente nelle piante appartenenti alla famiglia delle Leguminose o Fabacee, in particolare nella soia.
Poiché i legumi, la soia in primis, sono una parte importante della dieta in molte culture, questi flavonoidi potrebbero avere un grande impatto sulla salute umana.
Si trovano anche nei fagioli e nelle fave, ma in concentrazioni molto minori rispetto a quelle presenti nella soia e nei prodotti derivati.
Un’altra buona fonte di tali molecole è il trifoglio rosso o trifoglio dei prati (Trifolium pratense), anch’esso appartenente alla famiglia delle Leguminose.
Nella frutta e verdura, al momento, non ne sono stati trovati.
Insieme agli acidi fenolici, quali l’acido caffeico e l’acido gallico, e ai glicosidi della quercetina, sono i polifenoli meglio assorbiti, seguiti dalle catechine (ma non le gallocatechine) e dai flavanoni.
Nelle piante alcuni isoflavoni sono dotati di attività antimicrobica e sono sintetizzati in risposta ad attacchi da parte di batteri o funghi; agiscono quindi come fitoalesine.

Indice

Struttura chimica

Mentre nella maggior parte dei flavonoidi l’anello B si lega all’anello C in posizione 2, negli isoflavoni l’anello B si lega all’anello C in posizione 3.

Formula di struttura dello scheletro di base degli isoflavoni
Scheletro di Base degli Isoflavoni

Anche se non sono steroidi, sono strutturalmente simili agli estrogeni, in particolare all’estradiolo. Questo conferisce loro proprietà pseudormonali, compresa la capacità di legarsi ai recettori per gli estrogeni, e sono per questo considerati fitoestrogeni o estrogeni vegetali. I benefici spesso ascritti alla soia e ai cibi a base di soia (es. il tofu) si ritiene derivino dalla capacità degli isoflavoni presenti di agire come fitoestrogeni.
Va però sottolineato che il legame ai recettori per gli estrogeni sembra perdere forza con il tempo, per cui la loro efficacia non andrebbe sopravvalutata.
Negli alimenti sono presenti in quattro forme:

  • aglicone;
  • 7-O-glucoside;
  • 6’-O-acetil-7-O-glucoside;
  • 6’-O-malonil-7-O-glucoside.

Isoflavoni della soia: genisteina, daidzeina e gliciteina

La soia e i suoi derivati, come il latte, il tofu, il tempeh e il miso, sono la principale fonte di isoflavoni nella dieta umana.
Il contenuto in isoflavoni della soia e dei prodotti derivati varia in modo considerevole in funzione della zona geografica e delle condizioni di crescita e lavorazione; ad es. la soia ne contiene tra 580 e 3800 mg/kg di peso fresco mentre il latte di soia tra i 30 e i 175 mg/L. I più abbondanti in questi alimenti sono la genisteina, la daidzeina e la gliciteina, in genere presenti in rapporto di concentrazione 1:1:0,2; altri isoflavoni presenti sono la biocanina A e la formononetina.

Formule di struttura degli isoflavoni
Esempi di Isoflavoni

I 6’-O-malonil derivati hanno un gusto sgradevole, amaro e astringente, e quindi conferiscono un cattivo sapore ai cibi in cui sono contenuti. Tuttavia, essendo sensibili alla temperatura, sono spesso idrolizzati a glicosidi nel corso dei processi industriali, come la produzione del latte di soia.
I processi di fermentazione che sono necessari nella preparazione di cibi come il tempeh e il miso determinano a loro volta l’idrolisi dei glicosidi ad agliconi, ossia la molecola priva di zucchero.
I glicosidi degli isoflavoni della soia e dei prodotti della soia possono essere deglicosilati anche per azione delle β-glicosidasi dell’intestino tenue umano.
Gli agliconi sono molto resistenti al calore.
Sebbene molti composti presenti nella dieta siano convertiti dai batteri intestinali in molecole meno attive, in altri casi si verifica la conversione in molecole dotate di maggiore attività biologica. Questo è il caso degli isoflavoni, ma anche dei prenilflavonoidi del luppolo (Humulus lupulus), e dei lignani, anch’essi fitoestrogeni.

Fitoestrogeni e menopausa

Nelle donne in perimenopausa, anche detta transizione menopausale, e in menopausa vera e propria, i sintomi vasomotori, come le vampate di calore e le sudorazioni notturne, e la perdita di massa ossea sono molto comuni. La terapia sostitutiva ormonale (TOS) si è dimostrata un trattamento molto efficace per queste problematiche.
Il ricorso a terapie alternative a base di fitoestrogeni è aumentato a seguito della pubblicazione dei risultati del “Women’s Health Initiative” (WHI), i quali suggeriscono che la terapia sostitutiva ormonale potrebbero portare più rischi, in particolare un aumento della probabilità di sviluppare di alcune malattie croniche, che benefici.
Tra i fitoestrogeni più utilizzati dalle donne in menopausa ci sono gli isoflavoni della soia, spesso assunti in forma di alimenti fortificati o compresse. Molti studi hanno però messo in evidenza la mancanza di efficacia degli isoflavoni di soia, e del trifoglio rosso, anche in grandi dosi, nella prevenzione dei sintomi vasomotori (vampate di calore e sudorazioni notturne) e della perdita di massa ossea durante la menopausa.

Bibliografia

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Procianidine: dove si trovano, che benefici apportano

L’interesse sulle proantocianidine, in particolare sulle procianidine, loro forme dimeriche, è cresciuto a seguito della scoperta, conseguente a studi clinici e di laboratorio, delle loro proprietà antiinfiammatorie, anti-infettive, anti-carcinogeniche e cardioprotettive. Questi effetti protettivi sono stati attribuiti alla:

  • loro capacità di agire come scavenger nei confronti dei radicali liberi e di inibire la perossidazione dei lipidi di membrana;
  • sono inoltre in grado di agire su vari bersagli molecolari proteici all’interno della cellula, modulandone l’attività.

Le proantocianidine in alimenti differenti variano notevolmente in termini di:

  • contenuto totale;
  • distribuzione degli oligomeri e polimeri;
  • unità di catechine che le costituiscono;
  • collegamenti tra le unità costitutive.

In alcuni alimenti, come gli anacardi e i fagioli neri, sono presenti solamente dimeri, le procianidine di tipo A e B, mentre nella maggior parte degli altri si ritrovano in una vasta gamma di polimerizzazioni, da 2 a 10 unità e oltre.

Gli alimenti più ricchi di proantocianidine sono la cannella e il sorgo, che ne contengono rispettivamente circa 8000 e fino a 4000 mg/100 g di prodotto fresco.
Un’altra ricca fonte sono i semi d’uva (Vitis vinifera), con un contenuto di circa 3500 mg/100 g di peso secco.
Altre fonti importanti sono la frutta e i frutti di bosco, alcuni legumi, il vino rosso e in misura minore la birra, nocciole, pistacchi, mandorle, noci, e cacao.
Il caffè non è una buona fonte.
Nella maggior parte delle verdure le proantocianidine non sono rilevabili; in piccole concentrazioni sono state trovate nella zucca indiana.
Anche nel mais, riso e grano non sono rilevabili, mentre sono presenti nell’orzo.

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Fonti alimentari di procianidine di tipo A

Sebbene molti alimenti vegetali e prodotti derivati contengano elevate quantità di proantocianidine, solo pochi, come le prugne, l’avocado, le arachidi o la cannella, contengono procianidine di tipo A, ma nessuno in quantità pari ai mirtilli rossi americani (Cranberries, Vacciniun macrocarpon).

Formula di struttura di una delle procianidine: la procianidina A2

Nota: le procianidine di tipo A mostrano, in vitro, una capacità di inibizione dell’adesione di Escherichia coli P-fimbriata alle cellule uroepiteliali (adesione che rappresenta la fase iniziale delle infezioni urogenitali) maggiore rispetto alle procianidine di tipo B.

Fonti alimentari di procianidine di tipo B

Le procianidine di tipo B, formate da catechina e/o epicatechina come unità costitutive, sono state rilevate come proantocianidine esclusive in 20 tipi di alimenti tra cui mirtilli neri (Vaccinium myrtillus), more, bacche dell’Aronia, semi d’uva, mele, pesche, pere, nettarine, kiwi, mango, datteri, banane, zucca indiana, sorgo, orzo, piselli occhio nero, fagioli neri, noci e anacardi.

Proantocianidine nella frutta

Nella dieta occidentale la frutta rappresenta la fonte più importante di proantocianidine.
Le principali fonti sono rappresentate dai:

  • frutti di bosco (ad es. mirtilli neri, mirtilli rossi americani e ribes nero) e susine (prugne), con un contenuto di circa 200 mg/100 g di prodotto fresco;
  • fonti intermedie sono mele e uva (60-90 mg/100 g);
  • negli altri frutti il contenuto è inferiore a 40 mg/100 g.

Nella frutta, le più comuni proantocianidine sono tetrameri, esameri e polimeri.
Buone fonti di proantocianidine sono anche alcuni succhi di frutta.

Proantocianidine nei semi d’uva

Come detto, una fonte particolarmente ricca di proantocianidine è rappresentata dai semi dell’uva.
Le proantocianidine presenti nei semi dell’uva sono solo procianidine di tipo B, per la maggior parte presenti come dimeri, trimeri e oligomeri altamente polimerizzati.
Le proantocianidine da questa fonte si sono dimostrate potenti antiossidanti e scavenger di radicali liberi, essendo più efficaci della vitamina C o della vitamina E.
Esperimenti condotti sia in vivo che in vitro supportano l’idea che le proantocianidine, in particolare quelle dei semi dell’uva, possano agire come agenti anti-carcinogenici; sembra che, nelle cellule cancerose, siano coinvolte nella:

  • riduzione della proliferazione cellulare;
  • nell’aumento dell’apoptosi;
  • nell’arresto del ciclo cellulare;
  • nella modulazione dell’espressione e dell’attività di NF-kB e dei geni bersaglio di NF-kB.

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Flavonoli: struttura, alimenti, e benefici

I flavonoli sono polifenoli appartenenti alla famiglia dei flavonoidi.
Sono molecole prive di colore che si accumulano principalmente nei tessuti esterni e aerei, quindi pelle e foglie, di frutta e verdura, poiché la loro biosintesi è stimolata dalla luce solare, mentre sono praticamente assenti nella polpa.
Sono i flavonoidi più diffusi nella frutta e verdura, dove sono presenti generalmente in concentrazioni relativamente basse.
Data la loro diffusione in natura e nei cibi consumati dall’uomo, tali molecole devono essere tenute in considerazione quando si va ad analizzare l’effetto positivo sulla salute associato al consumo di frutta e verdura. Il loro effetto è probabilmente legato alla loro capacità di:

  • agire come antiossidanti;
  • agire come agenti ad azione antiinfiammatoria;
  • agire come fattori antitumorali;
  • modulare diverse vie di segnalazione cellulare; un esempio è l’azione della quercetina, il flavonolo più diffuso, sulla attività ossidante delle MAPK indotta dallo stress.

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Struttura chimica

Chimicamente si distinguono da molti altri flavonoidi in quanto presentano un doppio legame tra le posizioni 2 e 3 e un ossigeno in posizione 4 dell’anello C, al pari dei flavoni da cui però differiscono per la presenza di un gruppo ossidrilico in posizione 3. Dunque si può dire lo scheletro dei flavonoli è un 3-idrossiflavone.

Formula di struttura dello scheletro di base dei flavonoli
3-Idrossiflavone

Il gruppo ossidrilico in posizione 3 può legare uno zucchero ossia può essere glicosilato.
Al pari di molti altri flavonoidi, la maggior parte di essi si trova nella frutta e verdura, e nei prodotti derivati, in forma glicosilata. Lo zucchero associato ai flavonoli è spesso rappresentato dal glucosio o dal ramnosio, ma possono essere coinvolti anche altri zuccheri, come:

  • galattosio;
  • arabinosio;
  • xilosio;
  • acido glucuronico.

I flavonoli sono rappresentati principalmente dai glicosidi di:

  • quercetina;
  • campferolo;
  • miricetina;
  • isoramnetina.
Formule di struttura dei flavonoli come quercetina e campferolo
Flavonoli

I più diffusi sono i derivati glicosilati di quercetina e campferolo; in natura queste due molecole hanno rispettivamente almeno 279 e 347 diverse combinazioni glicosidiche.
Va infine sottolineato che il residuo di zucchero influenza la biodisponibilità del flavonolo.

Fonti alimentari

Le fonti principali nell’alimentazione umana sono:

  • frutta;
  • verdura;
  • bevande quali tè e vino rosso.

La fonte più ricca è rappresentata dai capperi, che ne contengono fino a 490 mg/100 g di peso fresco, ma si trovano abbondanti anche nelle cipolle, nel cavolo riccio, broccoli, porri, frutti di bosco, come i mirtilli, nell’uva e in alcune erbe e spezie, come l’aneto (Anethum graveolens). In queste fonti il loro contenuto varia da 10 a 100 mg/100 g di peso fresco.
Anche il cacao, il tè verde e il tè nero, ed il vino rosso ne sono fonti. Nel vino, insieme ad altri polifenoli come le catechine, le proantocianidine e polifenoli a basso peso molecolare, concorrono al carattere astringente della bevanda.

Principali flavonoli negli alimenti

I principali flavonoli presenti negli alimenti, in ordine decrescente di abbondanza, sono la quercetina, il kempferolo, la miricetina e la isoramnetina

Quercetina

L’alimento più ricco di quercetina è rappresentato dai capperi, seguiti da cipolle, asparagi, lattuga e frutti di bosco; in molta altra frutta e verdura è presente in quantità minori, attorno a 0,1-5 mg/100 g di peso fresco.
Questo flavonolo è presente anche nel cacao e potrebbe essere uno dei suoi principali fattori di protezione nei confronti dell’ossidazione delle LDL.
Insieme agli isoflavoni, i glicosidi della quercetina sono i polifenoli meglio assorbiti, seguiti dai flavanoni e dalle catechine (al contrario dei derivati dell’acido gallico delle catechine che sono tra i polifenoli meno assorbiti, insieme con gli antociani e le proantocianidine).

Campferolo

Fonti caratteristiche di campferolo sono gli ortaggi, come indivia, cavolo e spinaci, con concentrazioni di circa 0,1-26,7 mg/100 g peso fresco, e alcune spezie, come erba cipollina, dragoncello, e finocchio, con concentrazioni di circa 6,5-19 mg/100 g di peso fresco.
I frutti sono una fonte povera della molecola, con un contenuto inferiore a 0,1 mg/100 g di peso fresco.

Miricetina

La miricetina è il terzo flavonolo più abbondante e si trova in alcune spezie, come prezzemolo, origano e finocchio con concentrazioni di circa 2-19,8 mg/100 g di peso fresco, ma anche nel tè, 0,5-1,6 mg/100 ml, e nel vino rosso, 0-9,7 mg/100 ml.
Nella frutta è presente in elevate concentrazioni solo nei frutti di bosco, mentre nella maggior parte dell’altra frutta e nella verdura è presente con un contenuto inferiore a 0,2 mg/100 g di peso fresco.

Isoramnetina

Un quarto flavonolo, meno abbondante rispetto ai precedenti, è la isoramnetina, presente solo in alcuni alimenti come alcune spezie quali: finocchio 9,3 mg/100 g di peso fresco, erba cipollina 5,0-8,5 mg/100 g di peso fresco, dragoncello 5 mg/100 g di peso fresco.
Nella frutta e verdura è presente solo nelle mandorle, dove varia tra 1,2 e 10,3 mg/100 g di peso fresco, nelle pere e cipolle.

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Antociani: cosa sono, dove si trovano

Gli antociani o antocianine sono un sottogruppo di flavonoidi, e dunque di polifenoli, che conferisce alle piante i colori caratteristici.
Sono pigmenti solubili in acqua, si trovano disciolti nella linfa vacuolare dei tessuti epidermici di fiori e frutta, e sono responsabili dei colori della maggior parte dei petali, della frutta e verdura, e di alcune varietà di cereali come il riso nero.
A loro si devono i colori rosso, rosa e dal viola al blu dei frutti di bosco, delle mele rosse, dell’uva rossa, delle ciliegie, e di molti altri frutti, della lattuga rossa, del cavolo rosso, della cipolla o delle melanzane, ma anche del vino rosso.
Insieme ai carotenoidi, sono responsabili del colore delle foglie in autunno.
Infine le antocianine concorrono ad attrarre gli animali quando il fiore è pronto per l’impollinazione o il frutto è pronto per essere mangiato.
Sono composti bioattivi presenti nei cibi di origine vegetale che hanno un duplice interesse per l’uomo:

  • tecnologico, conseguente al loro impatto sulle caratteristiche sensoriali del prodotto;
  • salutare, essendo implicati nella protezione nei confronti del rischio cardiovascolare.

in vitro, le antocianine hanno un’attività antiossidante, grazie alla loro capacità di delocalizzare gli elettroni e formare strutture di risonanza, e un ruolo protettivo nei confronti dell’ossidazione delle LDL;

al pari di altri polifenoli, come le catechine, le proantocianidine e altri flavonoidi non colorati, possono regolare diverse vie di segnalazione coinvolte nella sopravvivenza, crescita e differenziazione della cellula.

Indice

Struttura chimica

La struttura chimica di base è il catione flavilio o 2-fenilbenzopirilio cui si legano gruppi idrossilici (-OH), metossilici (-OCH3), e uno o più zuccheri.
La molecola priva di zucchero è detta antocianidina.

Formula di struttura dello scheletro di base degli antociani
Catione Flavilio

In base al numero e alla posizione dei gruppi idrossilici e metossilici sono state descritte varie antocianidine, e di queste, sei si trovano comunemente nella frutta e verdura:

  • pelargonidina
  • cianidina
  • delfinidina
  • petunidina
  • peonidina
  • malvidina
Formule di struttura di differenti antociani
Antociani o Antocianine

Le antocianine, come la maggior parte degli altri flavonoidi, sono presenti nelle piante e nei cibi derivati in forma di glicosidi, ossia legati a una o più unità glucidiche.
I tipi più comuni di carboidrati presenti in questi pigmenti naturali sono:

Gli zuccheri sono legati principalmente in posizione C3 come 3-monoglicosidi, in C3 e C5 come diglicosidi, con le possibili forme 3-diglicoside, 3,5-diglicosidi e 3-diglicoside-5-monoglicoside.
Sono state osservate anche glicosilazioni in posizione C7, C3’ e C5’.
La struttura di queste molecole è ulteriormente complicata dal legame allo zucchero di diversi tipi di sostituenti acilici quali:

  • acidi alifatici, come l’acido acetico, malico, succinico e malonico;
  • acidi cinnamici, aromatici, come l’acido sinapico, ferulico e p-cumarico;
  • infine, si ritrovano pigmenti con sostituenti sia alifatici che aromatici.

Inoltre in alcuni antociani si osserva la presenza di diversi zuccheri acilati nella struttura; questi antociani sono talvolta definiti come poliglicosidi.
Sulla base del tipo di idrossilazione, metossilazione e glicosilazione, come dei diversi sostituenti legati allo zucchero, sono state individuate oltre 500 antocianine differenti che si basano su 31 monomeri di antocianidine. Tra questi 31 monomeri:

  • il 30% deriva dalla cianidina;
  • il 22% dalla delfinidina;
  • il 18% dalla pelargonidina.

I derivati metilati delle sopracitate antocianidine, ossia peonidina, malvidina e petunidina, insieme rappresentano il 20% degli antociani.
Quindi il 90% degli antociani che si incontrano più di frequente sono relati alla cianidina, delfinidina e pelargonidina più i loro derivati metilati.

Ruolo del pH

Il colore delle antocianine dipende dal pH del vacuolo cellulare dove sono immagazzinate, variando dal:

  • rosso, in condizioni molto acide;
  • viola-blu, in condizioni di pH intermedio;
  • giallo-verde, in ambiente alcalino.

Oltre che dal pH, il colore di questi flavonoidi può essere influenzato dal grado di idrossilazione o dal tipo di metilazione degli anelli aromatici, come dal tipo di glicosilazione.
Infine il colore di certi pigmenti vegetali deriva da complessi tra antocianine, flavoni e ioni metallici.
Da notare che le antocianine sono spesso utilizzati come indicatori di pH grazie alle differenze nella struttura chimica che si verificano in risposta a cambiamenti di pH.

Bibliografia

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Proantocianidine: cosa sono, proprietà, e assorbimento

Le proantocianidine o tannini condensati, chiamate anche picnogenoli o leucocianidine, sono una sottogruppo di polifenoli, e in particolare di flavonoidi, ampiamente distribuito nel regno vegetale, e seconde solo alla lignina come fenolo più abbondante in natura.
Sono presenti in elevata concentrazione in varie parti delle piante come i fiori, i frutti, le bacche, i semi, come i semi d’uva, e la corteccia, ad esempio quella del pino.
Insieme agli antociani e i loro prodotti di ossidazione, e alle catechine, sono i flavonoidi più abbondanti nella dieta dell’uomo ed è stato suggerito che costituiscano una frazione significativa dei polifenoli ingeriti nella dieta occidentale.
Dunque i tannini condensati vanno presi in considerazione quando si studia l’associazione epidemiologica tra l’assunzione di polifenoli, in particolare dei flavonoidi, e le malattie croniche.

Indice

Struttura chimica

Le proantocianidine hanno una struttura chimica complessa essendo oligomeri, da dimeri a pentameri, o polimeri, da sei o più unità fino a 60, delle catechine o flavanoli, legate tra di loro da ponti carbonio-carbonio.

Formula di struttura dello scheletro base delle procianidine, un tipo di proantocianidine
Struttura di Base delle Procianidine

Possono essere costituite da sole subunità di:

  • (epi)catechina, e sono definite procianidine;
  • (epi)afzelechina, e sono definite propelargonidine;
  • (epi)gallocatechina, e sono definite prodelfinidine.

Propelargonidine e prodelfinidine sono meno frequenti in natura e nei cibi rispetto alle procianidine.

In base ai legami che si stabiliscono tra i monomeri le proantocianidine posso avere una struttura definita:

  • di tipo B se la polimerizzazione avviene tramite legame carbonio-carbonio tra la posizione 8 dell’unità terminale e la 4 della successiva o tra le posizioni 4 e 6;
  • di tipo A, meno frequente, se i monomeri sono doppiamente legati tramite un legame etere C2-O-C7 o C2-O-C5 e un legame di tipo B.

Procianidine

I dimeri più comuni sono procianidine di tipo B, da B1 a B8, formati da catechina o epicatechina, unite da legami C4-C8, da B1 a B4, o C4-C6,da B5 a B8.

Formula di struttura della procianidine B1, B2, B3 e B4
Procianidine B1-B4

La procianidina C1 è un trimero di tipo B.
La procianidina A2 è un esempio di procianidina di tipo A.

Assorbimento intestinale

I tannini condensati sono scarsamente assorbiti a livello intestinale e, con gli antociani e i derivati esteri con l’acido gallico delle catechine del tè, sono i polifenoli meno ben assorbiti.
Sembra che gli oligomeri a basso peso molecolare, formati da 2-3 monomeri, possano essere assorbiti come tali mentre i polimeri non lo sono.
Nella circolazione sistemica i dimeri raggiungono concentrazioni di due ordini di grandezza inferiori rispetto a quelle delle catechine.
Le proantocianidine con un grado di polimerizzazione maggiore di tre sembra attraversino lo stomaco e l’intestino tenue senza significative modificazioni, per poi essere catabolizzate dal microbiota intestinale, che è parte del più ampio microbiota umano. I prodotti di degradazione includono gli acidi fenilacetico, fenilpropionico e fenilvalerico, acidi fenolici che sono stati suggeriti essere i principali metaboliti delle proantocianidine oligomeriche e polimeriche negli esseri umani sani.

Procianidine e catechine

In passato era stato proposto che il catabolismo intestinale delle procianidine portasse alla liberazione di catechine monomeriche, contribuendo così al loro pool sistemico negli esseri umani.
In realtà è stato dimostrato che ciò non accade in quanto le procianidine non contribuiscono in maniera significativa:

  • alla concentrazione dei metaboliti delle catechine nella circolazione sistemica;
  • al totale dei metaboliti delle catechine escreti con le urine;
  • infine, non influenzano in modo significativo il profilo dei metaboliti plasmatici derivanti dall’attività della catecol-O-metiltransferasi.

Pertanto quando si vanno ad analizzare i potenziali effetti benefici sulla salute associati all’assunzione di cibi contenenti questi fitochimici, catechine e procianidine debbono essere considerate classi distinte di composti correlati.

Bibliografia

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Catechine: cosa sono, struttura, dove si trovano

Le catechine o flavanoli, con i flavonoli come la quercetina, e i flavoni come la luteolina, sono un sottogruppo di flavonoidi tra più diffusi in natura.
Flavanoli e proantocianidine, insieme con le antociani e i loro prodotti di ossidazione sono i flavonoidi più abbondanti nella dieta dell’uomo.

Indice

Struttura chimica

Chimicamente si distinguono da molti altri flavonoidi in quanto:

  • mancano del doppio legame tra la posizione 2 e 3 dell’anello C;
  • non presentano un gruppo chetonico in posizione 4;
  • in posizione 3 hanno un gruppo ossidrilico e per questo sono anche chiamati flavan-3-oli.
Formula di struttura dello scheletro di base delle catechine
Scheletro di Base delle Catechine

Altra caratteristica distintiva dei flavan-3-oli è quella di formare oligomeri, formati da 2 a 10 unità, e polimeri, formati da 10 fino a 60 unità, detti proantocianidine o tannini condensati.

Fonti alimentari

Nei prodotti di origine vegetale si trovano di solito catechina, epicatechina, gallocatechina, epigallocatechina e i loro derivati esteri con l’acido gallico: catechina gallato, gallocatechina gallato, epicatechina gallato ed epigallocatechina gallato o EGCG.

Formule di struttura di alcune catechine come la epigallocatechina
Catechine

I flavanoli presenti con frequenza maggiore sono la catechina e la epicatechina, che sono anche tra i flavonoidi più comuni conosciuti, e quasi altrettanto diffusi come il flavonolo correlato quercetina.
Le fonti di gran lunga più ricche di flavanoli sono il cacao e il tè verde, dove i principali flavonoidi sono, oltre che catechina ed epicatechina (il cacao è una buona fonte anche di epigallocatechina), anche i loro derivati esteri con l’acido gallico, le gallocatechine.

Formule di struttura di alcuni derivati gallati di catechina, come EGCG
Derivati Gallati delle Catechine

Sono comunque presenti anche in molti tipi di frutta, soprattutto nelle bucce di mele, mirtilli neri (Vaccinium myrtillus) e uva, nelle verdure, nel vino rosso, nella birra e nelle arachidi.
Poiché in molti casi i flavanoli sono presenti nelle bucce o nei semi di frutta e verdura, la loro assunzione può essere limitata dal fatto che queste parti sono eliminate prima di mangiare frutta e verdura o durante la loro lavorazione.
Inoltre rispetto alle altre classi di flavonoidi, le catechine presenti nei cibi non sono glicosilate.
Nei cibi di origine vegetale si trovano comunemente anche flavan-3-oli polimerici, le proantocianidine; è stata riportata la loro presenza nella buccia di arachidi e mandorle, come nei frutti di bosco.

Tè verde e nero

Il tè verde rappresenta un’ottima fonte di flavonoidi, e, come per i semi del cacao, anche nelle foglie del tè i principali flavonoidi presenti sono i flavanoli monomerici, catechina ed epicatechina, insieme con i loro derivati gallati, come la EGCG.
La epigallocatechina gallato è la catechina più abbondante nel tè verde e sembra avere un ruolo importante nel determinare gli effetti salutari della bevanda, come:

  • la riduzione dell’infiammazione vascolare;
  • l’abbassamento della pressione;
  • la riduzione della concentrazione delle LDL ossidate.

Il tè nero (tè fermentato) contiene meno flavanoli monomerici, in quanto vengono ossidati durante il processo di fermentazione delle foglie con produzione di polifenoli più complessi come le teaflavine teaflavina digallato, teaflavina-3-gallato, e teaflavina-3’-gallato (tutte dimeri) e le tearubigine (polimeri).
Teaflavine e tearubigine sono catechine presenti solamente nel tè, le cui concentrazioni misurate nell’infuso sono circa 50-100 volte più basse rispetto a quelle presenti nelle foglie.
Degno di nota è il fatto che le epicatechine del tè sono notevolmente stabili quando esposte al calore fin quando il pH è acido: solamente il 15% è degradato dopo 7 ore in acqua bollente a pH 5. Ne consegue che l’aggiunta di succo di limone all’infuso di tè non determina alcuna riduzione del loro contenuto.

Cacao e prodotti derivati

Il cacao ha il più alto contenuto in polifenoli e flavanoli per porzione, una concentrazione maggiore rispetto a quelle trovate nel tè verde e nel vino rosso. La maggior parte dei flavonoidi che si trovano nei semi di cacao e nei prodotti derivati come il cioccolato nero sono flavanoli monomerici, catechina ed epicatechina, ma anche epigallocatechina, ei loro derivati come le gallocatechine; tra i polimeri sono importanti anche le proantocianidine.

Frutta, verdura e legumi

La catechina e la epicatechina sono i principali flavanoli presenti nella frutta; si ritrovano in molti frutti in concentrazioni variabili rispettivamente tra 5-3 e 0,5-6 mg/100 g di peso fresco.
Al contrario gallocatechina, epicatechina gallato, epigallocatechina e epigallocatechina gallato sono presenti in diversi frutti come uva rossa, frutti di bosco, mele, pesche e prugne, ma in concentrazioni molto basse, inferiori a 1mg/100 g di peso fresco.
Con l’eccezione di lenticchie e fave, pochi legumi e verdure contengono catechine e in concentrazioni molto basse, inferiori a 1,5 mg/100 g di peso fresco.

Bibliografia

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Flavonoidi: cosa sono, struttura, e classificazione

I flavonoidi sono i polifenoli più abbondanti nella dieta dell’uomo, rappresentandone circa i 2/3 di tutti i quelli assunti. Come gli altri fitochimici sono il prodotto del metabolismo secondario delle piante e, al momento, non è possibile stabilire precisamente il loro numero, anche se ne sono stati identificati oltre 4000.
Nella frutta e nella verdura si trovano generalmente in forma di glicosidi e in alcuni casi acilglicosidi, mentre meno frequentemente, e in concentrazioni minori, in forme acilate, metilate e solfate.
Sono molecole idrosolubili e si accumula all’interno dei vacuoli cellulari.

Indice

Struttura chimica dei flavonoidi

La loro struttura di base è costituita da uno scheletro di difenilpropano, ossia due anelli benzenici collegati da una catena di tre atomi di carbonio che forma un anello piranico (anello eterociclico contenente ossigeno) chiuso con l’anello benzenico A, che è detto anello C. La loro struttura è pertanto definita anche come C6-C3-C6.

Formula di struttura dello scheletro di base dei flavonoidi
Scheletro di Base dei Flavonoidi

Nella maggior parte dei casi l’anello B si lega all’anello C in posizione 2, ma può legarsi anche in posizione 3 o 4; questo, insieme con le caratteristiche strutturali dell’anello B e gli schemi di glicosilazione e idrossilazione dei tre anelli, fa si che i flavonoidi siano il gruppo di fitochimici, quindi non solo di polifenoli, più ampio e diversificato presente in natura.
Le attività biologiche di questi composti, ad esempio sono dei potenti antiossidanti, dipendono sia dalle caratteristiche strutturali che dallo schema di glicosilazione.

Classificazione dei flavonoidi

Possono essere suddivisi in diverse sottoclassi sulla base del carbonio dell’anello C su cui va a legarsi l’anello B, e del grado di insaturazione e ossidazione dell’anello C.
I flavonoidi in cui l’anello B si lega in posizione 3 dell’anello C sono detti isoflavoni; quelli in cui l’anello B si lega in posizione 4 neoflavonoidi, mentre quelli in cui l’anello B si lega in posizione 2 a loro volta essere suddividi in sei sottogruppi sulla base delle caratteristiche strutturali dell’anello C: flavoni, flavonoli, flavanoni, flavanonoli, flavanoli o catechine e antociani.
Infine, i flavonoidi con l’anello C aperto sono detti calconi.

Formule di struttura di base di diversi tipi di flavonoidi
Sottogruppi di Flavonoidi

Flavoni

Hanno un doppio legame tra la posizione 2 e 3 e un chetone in posizione 4 dell’anello C. La maggior parte dei flavoni della verdura e frutta presenta un gruppo idrossilico in posizione 5 dell’anello A, mentre l’idrossilazione in altre posizioni, per la maggior parte in posizione 7 dell’anello A o 3’ e 4’ dell’anello B, possono variare a seconda della classificazione tassonomica della particolare verdura o frutta.
La glicosilazione si verifica per la maggior parte sulle posizione 5 e 7, la metilazione e l’acilazione sui gruppi idrossilici dell’anello B.
Alcuni flavoni, come la nobiletina e la tangerina, sono polimetossilati.

Flavonoli

I flavonoli rispetto ai flavoni presentano un gruppo ossidrilico in posizione 3 dell’anello C, gruppo ossidrilico che può essere anche glicosilato. Di nuovo, al pari dei flavoni, anche i flavonoli sono molto vari per quello che riguarda l’idrossilazione e la metilazione, e, considerando i vari schemi di glicosilazione, i sono forse il sottogruppo più comune e ampio di flavonoidi nella frutta e verdura. Ad esempio, la quercetina è presente in moltissimi alimenti vegetali.

Flavanoni

I flavanoni, anche detti diidroflavoni, hanno l’anello C saturo; quindi, a differenza dei flavoni, mancano del doppio legame tra le posizione 2 e 3 e questa è l’unica differenza strutturale tra i due sottogruppi di flavonoidi. I flavanoni possono essere multi-idrossilati, e diversi gruppi idrossilici possono essere metilati e/o glicosilati. Alcuni hanno modelli unici di sostituzione, ad esempio, flavanoni prenilati, furanoflavanoni, piranoflavanoni o flavanoni benzilati, dando un gran numero di derivati sostituiti.
Negli ultimi 15 anni il numero dei flavanoni scoperti è notevolmente aumentato.

Flavanonoli

I flavanonoli, anche detti diidroflavonoli, sono i 3-idrossi derivati dei flavanoni; sono un sottogruppo altamente diversificato e multisostituito.

Isoflavoni

Come anticipato, gli isoflavoni sono flavonoidi in cui l’anello B si lega in posizione 3 dell’anello C. Hanno analogie strutturali con gli estrogeni, come l’estradiolo, e per questo sono anche detti fitoestrogeni.

Catechine

Le catechine o flavanoli sono dette anche flavan-3-oli poiché il gruppo ossidrilico è quasi sempre legato in posizione 3 dell’anello C; altro nome comune è catechine.
A differenza di molti flavonoidi non presentano un doppio legame tra le posizione 2 e 3; altro carattere distintivo, ad esempio rispetto ai flavanonoli, con cui condividono un ossidrile in posizione 3, è l’assenza di un carbonile, un gruppo chetonico, in posizione 4. Questa particolare struttura chimica permette ai flavanoli di avere due centri di chiralità nella molecola, sulle posizioni 2 e 3, quindi quattro possibili diastereoisomeri. La catechina è l’isomero con configurazione trans e la epicatechina è quello con configurazione cis. Ciascuna di queste due configurazioni ha due stereoisomeri, cioè, (+)-catechina e (-)-catechina, (+)-epicatechina e (-)-epicatechina.
La (+)-catechina e (-)-epicatechina sono i due isomeri spesso presenti nelle piante commestibili.
Un’altra importante caratteristica dei flavanoli, in particolare della catechina e della epicatechina, è quella di formare polimeri, detti proantocianidine o tannini condensati. Il nome “proantocianidine” deriva dal fatto che un clivaggio acido catalizzato produce antocianidine.
Le proantocianidine in genere contengono da 2 a 60 monomeri di flavanolo (catechina o epicatechina).
Sia i flavanoli monometrici che quelli oligomerici (da 2 a 7 monomeri) sono potenti antiossidanti.

Antocianidine

Chimicamente, le antocianidine sono cationi di flavilio e per la maggior parte si trovano come sali di cloruro.
Le antocianine o antociani sono i glicosidi delle antocianidine; lo zucchero si lega per la maggior parte dei casi in posizione 3 dell’anello C, zucchero che spesso si coniuga con acidi fenolici come l’acido ferulico.
Sono l’unico gruppo di flavonoidi che conferisce colore ai vegetali (tutti gli altri flavonoidi sono privi di colore). Il colore degli antociani dipende dal pH e dall’acilazione o metilazione dei gruppi idrossilici sugli anelli A e B.

Calconi

I calconi e gli diidrocalconi vengono considerati flavonoidi con struttura aperta; sono classificati tra i flavonoidi in quanto hanno vie di sintesi simili.

Bibliografia

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Polifenoli: cosa sono, struttura, classificazione, alimenti

I polifenoli sono tra i più importanti, e sicuramente i più numerosi, fitochimici presenti nel regno vegetale.
Attualmente sono note oltre 8000 strutture fenoliche, di cui più di 4000 appartenenti alla classe dei flavonoidi, e diverse centinaia sono presenti nei vegetali commestibili. Si ritiene però che il contenuto totale dei polifenoli nei vegetali sia sottostimato in quanto molti dei composti fenolici presenti nella frutta, verdura e derivati non sono stati ancora identificati, sfuggendo alle tecniche di analisi utilizzate, e la composizione in polifenoli per la maggior parte dei frutti e alcune varietà di cereali non è ancora nota.
Queste molecole sono presenti in molti vegetali commestibili sia per gli uomini che per gli animali e si ritiene che sia alla loro presenza, insieme a quella di altre molecole come i carotenodi, la vitamina C o la vitamina E, che si debbano gli effetti salutari di frutta e verdura.
Nella dieta umana sono gli antiossidanti naturali più abbondanti, e le principali fonti sono frutta, verdura, cereali integrali, ma anche altri tipi di alimenti e bevande da essi derivati come il vino rosso, ricco di resveratrolo, l’olio di oliva extravergine, ricco di idrossitirosolo, il cioccolato e il tè, in particolare il tè verde, ricco di epigallocatechina gallato o EGCG.

Indice

Struttura chimica

Con il termine di polifenoli si indica una grande varietà di molecole che possono essere suddivise in molte sottoclassi, suddivisioni che possono essere fatte sulla base della loro origine, funzione biologica svolta o struttura chimica.
Chimicamente sono composti con caratteristiche strutturali fenoliche, che si possono associare a carboidrati differenti.

Modello ad asta e sfera del fenolo, struttura presente nei polifenoli

Nelle piante la maggior parte si trova legata a zuccheri, e quindi in forma di glicosidi, e ad acidi organici; in entrambe i casi i sostituenti si possono posizionare in posizioni differenti sugli scheletri polifenolici.
Tra i polifenoli si trovano molecole semplici, come gli acidi fenolici, o strutture complesse come le proantocianidine o tannini condensati, molecole altamente polimerizzate.

Classificazione

Possono essere suddivisi in diverse sottoclassi in base al numero di anelli fenolici presenti nella loro struttura, agli elementi strutturali che legano questi anelli tra di loro, e ai sostituenti legati agli anelli. Possono quindi essere individuati due grandi gruppi: i flavonoidi e i non flavonoidi.
I flavonoidi, che condividono una struttura formata da due anelli aromatici, indicati come A e B, legati insieme da 3 atomi di carbonio che formano un eterociclo ossigenato, l’anello C, possono essere ulteriormente suddivisi in 6 sottoclassi principali, in funzione del tipo di eterociclo coinvolto, ossia:

Tra i polifenoli non flavonoidi si individuano:

  • fenoli semplici
  • acidi fenolici
  • aldeidi benzoiche
  • tannini idrolizzabili
  • acetofenoni e acidi fenilacetici
  • acidi idrossicinnamici
  • cumarine
  • benzofenoni
  • xantoni
  • stilbeni
  • lignani
  • secoiridoidi

Variabilità del contenuto in polifenoli dei prodotti vegetali

Anche se diverse classi di molecole fenoliche, come la quercetina, un flavonolo, si trovano nella maggior parte dei cibi vegetali, come tè, vino, cereali, legumi, frutta, succhi di frutta, altre classi si trovano solo in un particolare tipo di cibo, ad esempio i flavanoni negli agrumi, gli isoflavoni nella soia, o la florizina nelle mele.
Tuttavia in natura è comune che diversi tipi di polifenoli si trovino nello stesso prodotto; e tale è il caso delle mele che contengono flavanoli, acido clorogenico, acidi idrossicinnamici, glicosidi della floretina, glicosidi della quercetina e antociani.
La composizione in polifenoli può essere influenzata anche da altri parametri come il grado di maturazione al momento del raccolto, fattori ambientali, la lavorazione, sia casalinga che industriale, la conservazione e la varietà vegetale.
Dai dati attualmente disponibili sembra che i frutti con il contenuto più alto in polifenoli siano le fragole, i litchi e l’uva, mentre le verdure con concentrazione maggiore sono i carciofi, il prezzemolo e i cavoletti di Bruxelles. Meloni e avocado hanno le concentrazioni più basse.

Bibliografia

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