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Gluconeogenesi: via metabolica, precursori, ruolo e regolazione

La gluconeogenesi è la via metabolica che permette, anche agli organismi non fotosintetizzanti, di produrre glucosio (Glu) a partire dal piruvato (Pyr), la base coniugata dell’acido piruvico, e da altri precursori non glucidici.[1]

E’ presente in tutti gli animali, piante, funghi e microorganismi, con essenzialmente le stesse reazioni, che portano, da due molecole di piruvato, alla sintesi di una molecola di glucosio. Dunque è essenzialmente l’inverso della glicolisi, che invece procede dal glucosio fino al piruvato, e con essa condivide sette enzimi.[2]

Gluconeogenesi e Glicolisi

La glicogenolisi è distinta dalla gluconeogenesi, non corrispondendo a una sintesi de novo del monosaccaride, come si può evidenziare osservando la sua reazione complessiva:[3]

Glicogeno o (glucosio)n → n molecole di glucosio

La discussione successiva verterà sulla gluconeogenesi che avviene negli animali superiori, e in particolare nel fegato dei mammiferi.

Indice

Perché la gluconeogenesi è importante

La gluconeogenesi è fondamentale per almeno due motivi: consente di mantenere una normale concentrazione ematica di glucosio quando le riserve epatiche di glicogeno si esauriscono e non sono assunti carboidrati, e preserva metaboliti chiave, come il piruvato, necessari per la produzione di energia.[4]
Mantenere la glicemia tra 3,3-5,5 mmol/L (60 e i 99 mg/dL), è vitale poiché numerosi tessuti dipendono fortemente o esclusivamente dal glucosio per l’ATP. Tra questi rientrano i globuli rossi, i neuroni, il muscolo scheletrico in anaerobiosi, la midollare renale, i testicoli, la lente e la cornea dell’occhio, e i tessuti embrionali.[5]
Il solo cervello richiede circa circa 120 g, una quantità pari a:

Nel digiuno breve, come tra i pasti o durante la notte, la glicemia è mantenuta grazie alla glicogenolisi epatica, al rilascio di acidi grassi dal tessuto adiposo e alla produzione epatica di corpi chetonici.
Acidi grassi e corpi chetonici, utilizzati preferenzialmente dal muscolo scheletrico, consentono un risparmio di glucosio per i tessuti glucosio-dipendenti.

Tuttavia, dopo circa 18 ore di digiuno o durante sforzi intensi prolungati, le riserve di glicogeno diventano insufficienti. Se non vengono introdotti carboidrati, la gluconeogenesi diventa allora la principale fonte di glucosio endogeno.[6]

A sottolineare ulteriormente l’importanza della gluconeogenesi il fatto che se i valori della glicemia scendono al di sotto di 2 mmol/L si verifica la perdita di coscienza.[7]

Inoltre, senza la gluconeogenesi, il piruvato andrebbe perso, riducendo così la capacità del corpo di produrre ATP tramite la sua ossidazione aerobica, oltre 10 molecole di ATP per molecola di piruvato.[1]

Dove avviene

Negli animali superiori la gluconeogenesi avviene nel fegato, nella corticale renale e negli enterociti.[4]

Il fegato è la sede quantitativamente più importante, responsabile di circa il 90% del glucosio sintetizzato, seguito dal rene (10%). Tuttavia, se si considera il rapporto peso/sintesi, la corticale del rene ha un’efficienza superiore.[8]

Nel rene, le cellule che portano a termine la gluconeogenesi sono quelle del tubulo prossimale. Molto del glucosio prodotto viene utilizzato dalla midollare del rene, mentre l’azione dell’organo sul mantenimento della omeostasi glicemica diviene più importante durante il digiuno prolungato e nell’insufficienza epatica. Va tuttavia sottolineato che il rene, essendo privo di depositi di glicogeno, può contribuire alla regolazione della glicemia solo attraverso la gluconeogenesi e non anche attraverso la glicogenolisi, come invece può fare il fegato.

Parte della via gluconeogenetica può verificarsi anche nel muscolo scheletrico e cardiaco e nel cervello, e a velocità estremamente ridotta.
Tuttavia in questi tessuti la sintesi de novo del glucosio non porta al rilascio di glucosio in circolo, essendo assente la glucosio-6-fosfatasi (EC 3.1.3.9), l’enzima che catalizza l’ultima tappa della via. Quindi, l’eventuale produzione di glucosio-6-fosfato, compreso quello derivante dalla glicogenolisi, non contribuirà al mantenimento della glicemia ma aiuterà solo a ripristinare le scorte del glicogeno, per la verità nel cervello piccole e limitate per lo più agli astrociti. L’unico contributo diretto al mantenimento della glicemia operato da questi tessuti, e in particolare dal muscolo scheletrico, vista la sua grande massa (circa 18 volte quella del fegato), deriva dalla piccola quota di glucosio rilasciata dall’enzima deramificante (EC 3.2.1.33) della glicogenolisi.[4]

Per quello che riguarda la localizzazione cellulare, la maggior parte delle reazioni della gluconeogenesi avvengono nel citosol, alcune nel mitocondrio, e la tappa finale all’interno delle cisterne del reticolo endoplasmatico.[3]

Tappe irreversibili

Come precedentemente detto, glicolisi e gluconeogenesi sono essenzialmente una l’inverso dell’altra. Delle dieci reazioni che costituiscono la gluconeogenesi, ben sette sono in comune con la glicolisi. Si tratta di reazioni caratterizzate da un ΔG prossimo allo zero e pertanto facilmente reversibili. Tuttavia, nelle normali condizioni cellulari, il ΔG complessivo della glicolisi è pari a circa –63 kJ/mole (–15 kcal/mole), mentre quello della gluconeogenesi a circa –16 kJ/mole (–3,83 kcal/mole). Questo sta a indicare che, in vivo, sono processi irreversibili in vivo.[5]
L’irreversibilità della glicolisi è conseguenza di tre reazioni fortemente esoergoniche, che non potranno essere utilizzate nella gluconeogenesi.

Reazioni irreversibili della glicolisi bypassate nella gluconeogenesi
Reazione Enzima catalizzatore ΔG (kJ/mol) (kcal/mol) ΔG°’ (kJ/mol) (kcal/mol)
Glu → G6P Esochinasi o Glucochinasi –33,4 (–8,0) –16,7 (–4,0)
F6P → F1,6BP PFK-1 –22,2 (–5,3) –14,2 (–3,4)
PEP → Piruvato Piruvato chinasi –16,7 (–4,0) –31,4 (–7,5)

Nella gluconeogenesi queste tre tappe sono superate grazie a enzimi specifici che catalizzano passaggi irreversibili nella direzione della sintesi del glucosio. In questo modo è assicurata l’irreversibilità dell’intera via metabolica.[2]

Nelle sezioni successive sono analizzate in dettaglio queste reazioni.

Da piruvato a fosfoenolpiruvato

Il primo passaggio della gluconeogenesi che by-passa una tappa irreversibile della glicolisi, nello specifico quella catalizzata dalla piruvato chinasi, è la conversione del piruvato in fosfoenolpiruvato.
La sintesi del fosfoenolpiruvato è ottenuta attraverso una sequenza di due reazioni catalizzate nell’ordine dagli enzimi:

La reazione complessiva può essere riassunta come:[9]

Pyr → Ossalacetato → PEP

Piruvato carbossilasi e formazione di ossalacetato

La piruvato carbossilasi catalizza la carbossilazione del piruvato in ossalacetato, con consumo di una molecola di ATP. L’enzima richiede la presenza di ioni manganese o magnesio.

Pyr + HCO3 + ATP → Ossalacetato + ADP + Pi

L’enzima, scoperto nel 1960 da Merton Utter, è un enzima mitocondriale formato da quattro subunità identiche, ognuna dotata di attività catalitica. Le subunità hanno come coenzima la biotina, legata attraverso legame ammidico al gruppo amminico ε di un residuo di lisina, e la cui funzione è quella di trasportatore di CO2 attivata nel corso della reazione enzimatica. In ogni subunità è presente anche un sito di legame per l’acetil-CoA.
In aggiunta alla sua funzione nella gluconeogenesi, questa reazione, portando alla produzione di ossalacetato, fornisce anche intermedi al ciclo dell’acido citrico.[10][11]

Fosfoenolpiruvato carbossichinasi e formazione di PEP

La PEP carbossichinasi la decarbossilazione e fosforilazione dell’ossalacetato a dare fosfoenolpiruvato, con consumo di una molecola di GTP. L’enzima richiede la presenza sia di ioni manganese che magnesio. La reazione nelle normali condizioni cellulari è reversibile.[12]

Ossalacetato + GTP ⇄ PEP + CO2 + GDP

 Nella reazione la CO2 aggiunta nella tappa catalizzata dalla piruvato carbossilasi viene ora rimossa. La sequenza di carbossilazione e decarbossilazione è un modo per “attivare” il piruvato, poiché la decarbossilazione dell’ossalacetato facilita, rende termodinamicamente possibile la formazione del fosfoenolpiruvato.[1]
Più in generale le sequenze carbossilazione–decarbossilazione sono utilizzate per favorire reazioni che altrimenti sarebbero fortemente endoergoniche, e sono utilizzate anche nel ciclo dell’acido citrico, nella via del pentoso fosfato, e nella sintesi degli acidi grassi.[2]

Energetica della conversione complessiva

BRUTTO
La somma delle reazioni catalizzate dalla piruvato carbossilasi e dalla pep carbossichinasi è:

Pyr + ATP + GTP + HCO3 → PEP + ADP + GDP + Pi + CO2

Il ΔG°’ della reazione è pari a +0,9 kJ/mole (0,2 kcal/mole), mentre il ΔG°’ associato alla formazione di piruvato dal fosfoenolpiruvato per semplice inversione della reazione catalizzata dalla piruvato chinasi è di +31,4 kJ/mole (7,5 kcal/mole).
Sebbene il ΔG’° dei due passaggi che portano alla formazione di fosfoenolpiruvato dal piruvato sia leggermente positivo, il ΔG calcolato dalle concentrazioni intracellulari degli intermedi è molto negativo (–25 kJ/mole o –6 kcal/mole), grazie al rapido consumo del fosfoenolpiruvato in altre reazioni, il che mantiene la sua concentrazione molto bassa.
Ne consegue che, nelle condizioni esistenti nella cellula la sintesi del PEP dal piruvato è un processo irreversibile.[1]

Precursori del fosfoenolpiruvato: piruvato o alanina

La gluconeogenesi può avvenire a partire da precursori differenti. In questa sezione sono esaminati gli specifici passaggi coinvolti quando il piruvato o l’alanina fungono da precursori, evidenziando come il percorso si adatti alle condizioni metaboliche.

Trasporto mitocondriale e conversione di piruvato e alanina

I passaggi di seguito descritti prevalgono quando i substrati gluconeogenici prevalenti sono piruvato o alanina.
La piruvato carbossilasi è un enzima mitocondriale, per cui il piruvato dovrà essere trasportato dal citosol nella matrice mitocondriale. Ciò avviene grazie a due trasportatori presenti sulla membrana mitocondriale interna, indicati come MPC1 and MPC2, che, associandosi, formano un eteropolimero che facilita il passaggio della molecola.[13]

In alternativa, il piruvato può essere prodotto direttamente all’interno della matrice mitocondriale per transaminazione dell’alanina, nella reazione catalizzata dalla alanina aminotransferasi (EC 2.6.1.2). In questa reazione, il gruppo amminico dell’alanina viene trasferito all’α-chetoglutarato, producendo glutammato e piruvato. Il gruppo amminico verrà infine escreto come urea attraverso il ciclo dell’urea.[14]

Da Piruvato e Alanina a PEP

Trasporto dell’ossalacetato e conversione in fosfoenolpiruvato

Poiché gli enzimi che intervengono nelle tappe successive della gluconeogenesi, con l’eccezione della glucosio-6-fosfatasi, sono citosolici, l’ossalacetato prodotto nella matrice mitocondriale deve essere trasportato nel citosol. La membrana mitocondriale interna è però priva di trasportatori per l’ossalacetato. Il suo passaggio nel citosol avviene a seguito della sua riduzione a malato, che al contrario può attraversare la membrana mitocondriale interna. La reazione è catalizzata dalla malato deidrogenasi mitocondriale (EC 1.1.1.37), un enzima che interviene anche nel ciclo dell’acido citrico. Nella reazione il NADH viene utilizzato come agente riducente ed è ossidato a NAD+.

Ossalacetato + NADH + H+ ⇄ Malato + NAD+

Sebbene ΔG°’ della reazione sia piuttosto elevato, il ΔG calcolato sulla base della concentrazione intracellulare dell’ossalacetato, molto bassa, è prossimo allo zero per cui la reazione è facilmente reversibile.[2]

Il malato prodotto attraversa la membrana mitocondriale interna grazie al trasportatore malato-α-chetoglutarato, un componente dello shuttle del malato-aspartato. Una volta nel citosol, il malato è riossidato a ossalacetato nella reazione catalizzata dalla malato deidrogenasi citosolica, con rigenerazione di NADH.

Malato + NAD+ → Ossalacetato + NADH + H+

Nota: lo shuttle del malato-aspartato è il più attivo nel trasporto degli equivalenti riducenti del NADH dal citosol all’interno del mitocondrio. E’ presente in tessuti quali fegato, rene, e cuore.[3]

Grazie a questa reazione equivalenti riducenti mitocondriali, in forma di NADH, sono trasferiti nel citosol.[8]
Tale trasferimento è necessario per il proseguimento della gluconeogenesi, in quanto nel citosol il NADH, utilizzato nella reazione catalizzata dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi (EC 1.2.1.12), è presente in bassa concentrazione, con un rapporto [NADH]/[NAD+] pari a 8 x 10-4, circa 100000 volte più basso di quello osservato nei mitocondri.[15]

Infine l’ossalacetato citosolico viene convertito in fosfoenolpiruvato nella reazione catalizzata dalla PEP carbossichinasi.

Precursore del fosfoenolpiruvato: lattato

Il lattato è uno dei principali precursori gluconeogenici. Esempi di cellule e tessuti che lo producono in grande quantità sono:

Quando il lattato è il precursore gluconeogenico, la sintesi del PEP segue una via differente rispetto a quanto visto per il piruvato e l’alanina.
Nel citosol dell’epatocita, dove la concentrazione del NAD+ è elevata, il lattato viene ossidato a piruvato nella reazione catalizzata dall’isoenzima epatico della lattato deidrogenasi (EC 1.1.1.27). Nella reazione il NAD+ viene ridotto a NADH.

Lattato + NAD+ → Pyr + NADH + H+

La produzione citosolica di NADH rende non necessaria l’esportazione di equivalenti riducenti dal mitocondrio.

Il piruvato passa nella matrice mitocondriale per essere convertito in ossalacetato nella reazione catalizzata dalla piruvato carbossilasi. Nel mitocondrio l’ossalacetato è convertito direttamente in fosfoenolpiruvato nella reazione catalizzata dall’isoenzima mitocondriale della piruvato carbossilasi, che, a mezzo di un trasportatore anionico localizzato nella membrana mitocondriale interna, esce dal mitocondrio per continuare nella via gluconeogenetica nel citosol.[3]

Nota: la sintesi del glucosio dal lattato può essere considerata anche come una parte del “ramo epatico” del ciclo di Cori.[16]

Da fruttosio-1,6-bisfosfato a fruttosio-6-fosfato

Il secondo passaggio della gluconeogenesi che supera una reazione irreversibile della via glicolitica, quella catalizzata dalla PFK-1, è la defosforilazione del fruttosio-1,6-bisfosfato a fruttosio-6-fosfato.[5]

Questa reazione, catalizzata dalla fruttosio-1,6-bisfosfatasi (FBPasi-1; EC 3.1.3.11), enzima citosolico e Mg2+ dipendente, comporta l’idrolisi del gruppo fosfato sul C-1, senza alcuna produzione di ATP.

F1,6BP + H2O → F6P + Pi

Il ΔG°’ della reazione è pari a –16,3 kJ/mol (–3,9 kcal/mol), dunque una reazione irreversibile.[2]

Da glucosio-6-fosfato a glucosio

Il terzo passaggio esclusivo della gluconeogenesi permette di superare la reazione della glicolisi catalizzata dalla esochinasi o dalla glucochinasi. Nello specifico si tratta della defosforilazione del glucosio-6-fosfato a glucosio.[5]

Questa reazione è catalizzata dall’unità catalitica della glucosio-6-fosfatasi, un complesso proteico presente nella membrana del reticolo endoplasmatico degli epatociti, enterociti e cellule del tubulo prossimale del rene.[8] La glucosio-6-fosfatasi è composta da una subunità catalitica dotata di attività fosfatasica e un trasportatore bidirezionale specifico per il glucosio-6-fosfato detto glucosio-6-fosfato traslocasi o T1.
E’ importante notare che la subunità catalitica della glucosio-6-fosfatasi presenta il sito attivo rivolto verso la superficie luminale dell’organello. Ciò significa che l’enzima catalizza una idrolisi intraluminale del substrato, ossia il glucosio è rilasciato non nel citosol ma all’interno del reticolo endoplasmatico.[17]

Meccanismo e regolazione del rilascio del glucosio

Il glucosio-6-fosfato, sia quello derivante dalla gluconeogenesi, rilasciato nella reazione catalizzata dalla glucosio-6-fosfato isomerasi (EC 5.3.1.9), che dalla glicogenolisi, rilasciato nella reazione catalizzata dalla fosfoglucomutasi (EC 5.4.2.2), è prodotto nel citosol, e dovrà entrare nel lume del reticolo endoplasmatico per essere defosforilato. Il suo passaggio è mediato dalla glucosio-6-fosfato traslocasi.
Una volta all’interno delle cisterne del reticolo endoplasmatico, la subunità catalitica della glucosio-6-fosfatasi, un enzima Mg2+-dipendente, catalizza l’idrolisi di un estere fosforico.[17]

G6P + H2O → Glucosio + Pi

Al pari della reazione catalizzata dalla FBPasi-1, anche questa è una reazione irreversibile. Il ΔG°’ della reazione è di –13,8 kJ/mol (–3,3 kcal/mol). Se invece la reazione fosse l’inverso di quella catalizzata dalla esochinasi/glucochinasi, comporterebbe il trasferimento di un gruppo fosforico all’ADP dal glucosio-6-fosfato, una reazione con ΔG pari a +33,4 kJ/mole (+8 kcal/mol), quindi fortemente endoergonica.[2]

Va inoltre sottolineato che, grazie all’orientamento del sito attivo, la cellula separa questa reazione dal citosol, e dunque dalla glicolisi, che verrebbe bloccata dall’azione dell’enzima sul glucosio-6-fosfato.[4]

Il glucosio e il fosfato inorganico prodotti sono trasportati dal reticolo endoplasmatico al citosol da due distinti trasportatori, indicati rispettivamente come T2, per il glucosio, e T3, quest’ultimo un trasportatore anionico per fosfato inorganico.
Infine, grazie al trasportatore di membrana GLUT2, il glucosio potrà lasciare l’epatocita ed entrare in circolo per essere trasportato ai tessuti che lo richiedano.[17]

Costo energetico della gluconeogenesi

Al pari di quanto accade nella glicolisi, sono le tappe irreversibili della gluconeogenesi le responsabili del consumo della maggior parte dell’energia necessaria al processo.[5]

In totale, sono consumati sei legami fosforici ad alta energia per la sintesi di una molecola di glucosio da due di piruvato, ossia quattro ATP e due GTP.

In aggiunta, due molecole di NADH sono richieste per la riduzione di altrettante molecole di 1,3-bisfosfoglicerato a gliceraldeide-3-fosfato, nella reazione catalizzata dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi. L’ossidazione dei due NADH comporta la mancata produzione di circa cinque molecole di ATP che sarebbero potute essere sintetizzate nel caso in cui gli elettroni del coenzima ridotto fossero stati utilizzati per la sintesi di ATP nel mitocondrio attraverso la fosforilazione ossidativa.

Anche da queste considerazioni prettamente energetiche emerge che la gluconeogenesi non è semplicemente l’inverso della glicolisi, nel qual caso necessiterebbe del consumo di sole due molecole di ATP, come si evince dalla equazione glicolitica complessiva.

Glu + 2 ADP + 2 Pi + 2 NAD+ → 2 Pyr + 2 ATP + 2 NADH + 2 H+ + 2 H2O

Per la gluconeogenesi invece:[2][3]

2 Pyr + 4 ATP + 2 GTP + 2 NADH + 2 H+ + 4 H2O → Glu + 4 ADP + 2 GDP + 6 Pi + 2 NAD+

Nel fegato, l’energia necessaria a sostenere la gluconeogenesi deriva principalmente dall’ossidazione degli acidi grassi. Tuttavia, in determinate condizioni metaboliche, come il digiuno prolungato o l’assunzione di elevate quantità di proteine, l’ossidazione degli scheletri carboniosi degli amminoacidi può contribuire in modo significativo alla produzione di ATP e GTP. La fonte di energia predominante dipende quindi dai combustibili metabolici disponibili al momento.[6]

Regolazione coordinata della glicolisi e gluconeogenesi

Se la glicolisi e la gluconeogenesi procedessero simultaneamente ad alta velocità nella stessa cellula, ne risulterebbe solo il consumo di ATP e la produzione di calore, in particolare in corrispondenza delle tappe irreversibili dei due processi, e nulla di più.
Ad esempio, si considerino le reazioni opposte catalizzate dalla PFK-1 e FBPasi-1.
La reazione catalizzata dalla PFK-1:

ATP + F6P → ADP + F1,6BP

La reazione catalizzata dalla FBPasi-1

F1,6BP + H2O → F6P + Pi

Dalla somma delle due reazioni si ha:[1]

ATP + H2O → ADP + Pi + Calore

Quando reazioni contrapposte di questo tipo procedono simultaneamente si parla di ciclo futile, anche detto ciclo del substrato, che causa una inutile dissipazione di energia.[18]
La contemporanea attività ad alta velocità di enzimi che catalizzano reazioni contrapposte è evitata grazie al controllo dell’attività degli enzimi stessi, che può avvenire mediante:

I meccanismi allosterici sono molto rapidi e istantaneamente reversibili, avvenendo in un arco temporale di millisecondi. Gli altri, innescati da segnali che provengono dall’esterno della cellula, trasportati da ormoni quali insulina, glucagone, o adrenalina, richiedono tempi più lunghi, dai secondi ai minuti per le modificazioni covalenti, e fino a ore per le modificazioni della concentrazione degli enzimi.
Grazie a questi meccanismi regolatori è possibile ottenere una regolazione coordinata delle due vie, tale da assicurare che quando il flusso di piruvato procede attraverso la gluconeogenesi, il flusso del glucosio attraverso la glicolisi rallenta, e viceversa.[1]

Regolazione della gluconeogenesi

La regolazione della gluconeogenesi, come quella della glicolisi, avviene attraverso controlli esercitati sugli enzimi specifici delle singole vie, e non su quelli comuni.[1]
Mentre i principali punti di regolazione della glicolisi sono le reazioni catalizzate dagli enzimi PFK-1 e piruvato chinasi, i principali punti di regolazione della via gluconeogenetica sono le reazioni catalizzate dagli enzimi fruttosio-1,6-bisfosfatasi e piruvato carbossilasi.

Anche gli altri due enzimi esclusivi della via gluconeogenetica, glucosio-6-fosfatasi e PEP carbossichinasi, sono soggetti a regolazione, ma solo a livello trascrizionale.[4]

Piruvato carbossilasi

Nel mitocondrio il piruvato può seguire due principali vie metaboliche:

Il destino metabolico del piruvato dipende in larga misura dalla disponibilità dell’acetil-CoA, quindi anche degli acidi grassi mitocondriali.
Quando questi ultimi sono abbondanti, la loro β-ossidazione genera acetil-CoA, che entra nel ciclo di dell’acido citrico producendo di GTP e NADH. Quando i fabbisogni energetici cellulari sono soddisfatti, la fosforilazione ossidativa rallenta, il rapporto [NADH]/[NAD+] cresce, il NADH inibisce il ciclo causando un accumulo di acetil-CoA nella matrice mitocondriale.[1][5]
L’acetil-CoA è un segnale metabolico chiave:


Dunque, quando la carica energetica cellulare è alta, la conversione del piruvato in acetil-CoA rallenta, mentre la sua conversione in ossalacetato, e quindi in glucosio, è favorita. L’acetil-CoA quindi segnala che non è necessaria un’ulteriore ossidazione del glucosio, e che i precursori glucogenici possono essere destinati alla sintesi e deposito di glucosio.
Viceversa, quando i livelli di acetil-CoA sono bassi, il piruvato viene preferenzialmente indirizzato verso la produzione di energia:

In sintesi, la piruvato carbossilasi rappresenta un punto di controllo cruciale nella scelta tra produzione di energia o sintesi di glucosio, secondo lo stato energetico cellulare.[21]

Fruttosio-1,6-bisfosfatasi

Il secondo importante punto di controllo della gluconeogenesi è la reazione catalizzata dalla fruttosio-1,6-bisfosfatasi. L’enzima è inibito allostericamente dall’AMP. Quindi quando la concentrazione dell’AMP è alta, e di conseguenza quella dell’ATP è bassa, la gluconeogenesi rallenta. Ossia, come visto in precedenza, l’enzima è attivo solo quando la carica energetica della cellula è sufficientemente alta da sostenere la sintesi de novo del glucosio.[22]

Di contro, la PFK-1, l’enzima glicolitico corrispondente, è allostericamente attivata dall’AMP e dall’ADP, e inibita dall’ATP e dal citrato, quest’ultimo derivante dalla condensazione tra l’acetil-CoA e l’ossalacetato.[23]
Quindi riassumendo:

Fruttosio-1,6-bisfosfatasi, PFK-1 e fruttosio-2,6-bisfosfato

Il fegato ha un ruolo centrale nel mantenimento dell’omeostasi glicemica; questo richiede la presenza di meccanismi regolatori che coordinino il consumo e la produzione del glucosio. Due sono gli ormoni principalmente coinvolti: il glucagone e l’insulina.[21]
I loro effetti intracellulari sono in larga parte mediati dal fruttosio-2,6-bisfosfato (F2,6BP), un potente attivatore allosterico della PFK-1 e inibitore della fruttosio-1,6-bisfosfatasi. Il fruttosio-2,6-bisfosfato è una molecola strutturalmente simile al fruttosio-1,6-bisfosfato, ma che non è ne un intermedio della glicolisi nel della gluconeogenesi.[1]

La molecola fu scoperta nel 1980 da Emile Van Schaftingen and Henri-Gery Hers come un potente stimolatore della PFK-1. L’anno successivo gli stessi ricercatori dimostrarono che è anche un potente inibitore dalla fruttosio-1,6-bisfosfatasi.
A seguito del legame allo specifico sito allosterico sulla PFK-1, il fruttosio-2,6-bisfosfato svolge un duplice effetto: riduce l’affinità della proteina per i suoi inibitori allosterici ATP e citrato e ne aumenta l’affinità per il fruttosio-6-fosfato, il suo substrato. La PFK-1, in assenza di fruttosio-2,6-bisfosfato, e in presenza di concentrazioni fisiologiche di ATP, fruttosio-6-fosfato, e dei suoi effettori allosterici AMP, ATP e citrato, è praticamente inattiva. La presenza di fruttosio-2,6-bisfosfato ha invece l’effetto di attivare l’enzima quindi stimolare la glicolisi, e simultaneamente inibire la FBPasi-1, anche in assenza di AMP. Gli effetti di AMP e fruttosio-2,6-bisfosfato sulla FBPasi-1 sono sinergici.[25][26]

F2,6BP e Regolazione della Glicolisi e Gluconeogenesi

Regolazione dei livelli del F2,6BP

La concentrazione intracellulare del fruttosio-2,6-bisfosfato è regolata dalle velocità relative della sua sintesi e degradazione.

Le due attività enzimatiche sono presenti su una stessa proteina, che dunque è un enzima bifunzionale, anche detto enzima tandem PFK-2/FBPase-2. Nel fegato sono le due attività enzimatiche sono regolate dall’insulina e dal glucagone.[27]

Glucagone

A seguito del legame allo specifico recettore di membrana, il glucagone stimola la adenilato ciclasi (EC 4.6.1.1) a produrre 3’-5’ AMP ciclico (cAMP), che, a seguito del legame alla protein chinasi cAMP-dipendente o protein chinasi A (PKA; EC 2.7.11.11), la attiva.

PKA catalizza la fosforilazione, a spese di una molecola di ATP, di uno specifico residuo di serina (Ser32) di PFK-2/FBPasi-2. La fosforilazione comporta un aumento dell’attività fosfatasica a spese di quella chinasica, che si riduce in conseguenza di un aumento della Km per il fruttosio-6-fosfato. Tutto ciò porta a una riduzione dei livelli di fruttosio-2,6-bisfosfato, con conseguente stimolazione della gluconeogenesi e inibizione della glicolisi. Quindi, in risposta al segnale trasportato dal glucagone, aumenta la produzione epatica di glucosio, il che rende l’organo capace di contrastare la riduzione della glicemia segnalata dall’ormone.[28][29]

Nota: il glucagone, al pari dell’adrenalina, stimola la gluconeogenesi in parte anche aumentando la disponibilità di substrati quali il glicerolo e gli amminoacidi.[30]

Insulina

L’insulina ha un effetto opposto a quello del glucagone.
A seguito del legame agli specifici recettori di membrana, va ad attivare una protein fosfatasi, la fosfoprotein fosfatasi 2A (PP2A) che defosforila la PFK-2/FBPasi-2:

Nel contempo l’insulina stimola anche una cAMP fosfodiesterasi che idrolizza il cAMP ad AMP, riducendo ulteriormente l’attività della PKA. Il risultato è l’aumento dei livelli intracellulari di fruttosio-2,6-bisfosfato e la conseguente inibizione della gluconeogenesi e attivazione della glicolisi.

In aggiunta:

Tuttavia i fattori predominanti sono la concentrazione del fruttosio-6-fosfato e lo stato di fosforilazione dell’enzima stesso.[31]

Glucosio-6-fosfatasi

A differenza della piruvato carbossilasi e della fruttosio-1,6-bisfosfatasi, la subunità catalitica della glucosio-6-fosfatasi non è soggetta a regolazione allosterica o covalente, mentre viene regolata a livello trascrizionale.[32]

La bassa glicemia e il glucagone, dunque fattori che determinano una maggiore produzione di glucosio, e i glucocorticoidi ne stimolano la sintesi, che al contrario è inibita dall’insulina.[33]

Inoltre, la sua Km per il glucosio-6-fosfato è significativamente più alta rispetto al normale intervallo di concentrazione della molecola stessa. Ciò significa che l’attività dell’enzima dipende quasi linearmente dalla concentrazione del substrato. Per questo si dice che la glucosio-6-fosfatasi è regolata dalla disponibilità del substrato piuttosto che da effettori allosterici.[34]

PEP carbossichinasi

La PEP carbossichinasi è presente, all’incirca nelle stesse quantità, sia nel mitocondrio che nel citosol dell’epatocita. Le due forme isoenzimatiche sono codificate da distinti geni nucleari.
La sua espressione è strettamente regolata, principalmente attraverso cambiamenti nei suoi tassi di sintesi e degradazione. Ad esempio, i livelli degli enzimi sono bassi prima della nascita, ma aumentano notevolmente entro poche ore dal parto, in concomitanza con l’attivazione della gluconeogenesi nel neonato.[35][36]

Elevati livelli di glucagone o il digiuno aumentano la sintesi dell’enzima, a seguito della stabilizzazione del suo mRNA e dell’aumento della sua velocità di trascrizione. Glicemie elevate o l’insulina sopprimono la trascrizione, riducendo così i livelli degli enzimi.[34]

Xilulosio-5-fosfato

Lo xilulosio-5-fosfato, un prodotto della via del pentoso-fosfato, è una molecola regolatrice identificata relativamente di recente. Stimola la glicolisi e inibisce la gluconeogenesi modulando la concentrazione di fruttosio-2,6-bisfosfato nel fegato.[37]

Quando la concentrazione ematica del glucosio aumenta, come dopo un pasto ricco di carboidrati, nel fegato si verifica l’attivazione della glicolisi e della via dell’esoso monofosfato. In quest’ultima via metabolica viene prodotto anche xilulosio-5-fosfato che è in grado di attivare la protein fosfatasi 2A. Come precedentemente descritto, PP2A defosforila la PFK-2/FBPasi-2, inibendo così la FBPasi-2 e stimolando la PFK-2. Ne risulta un aumento della concentrazione del fruttosio-2,6-bisfosfato, e quindi l’inibizione della gluconeogenesi e la stimolazione della glicolisi. L’aumento del flusso glicolitico determina un aumento della produzione di acetil-CoA, un precursore chiave nella sintesi dei lipidi.[38]

Il concomitante aumento del flusso attraverso la via dell’esoso monofosfato produce NADPH, fonte di elettroni per la sintesi degli acidi grassi. In aggiunta, PP2A defosforila anche ChREBP, un fattore di trascrizione che attiva l’espressione di geni epatici coinvolti nella sintesi dei lipidi.[39]

Pertanto, in risposta a livelli elevati di glucosio nel sangue, lo xilulosio 5-fosfato agisce come un regolatore cruciale, promuovendo la sintesi dei lipidi e coordinando il metabolismo dei carboidrati e dei grassi.[38]

Precursori

Oltre al piruvato, i principali precursori gluconeogenici sono il lattato, il glicerolo, la maggior parte degli amminoacidi, e,più in generale, qualunque composto che possa essere convertito in piruvato o ossalacetato.[40]

Glicerolo

Il glicerolo deriva dalla lipolisi nel tessuto adiposo. Con l’esclusione del propionil-CoA, è l’unica parte delle molecole dei lipidi che negli animali possa essere utilizzata per la sintesi del glucosio.[5]
Il suo punto di ingresso nella gluconeogenesi, o nella glicolisi, a seconda delle condizioni energetiche in cui si trova la cellula, è rappresentato dal diidrossiacetone fosfato (DHAP), la cui sintesi avviene in due passaggi.
Nel primo il glicerolo è fosforilato a glicerolo-3-fosfato, nella reazione catalizzata dalla glicerolo chinasi (EC 2.7.1.30). La reazione consuma una molecola di ATP.

Glicerolo + ATP → Glicerolo-3-fosfato + ADP + Pi

L’enzima assente negli adipociti, ma presente nel fegato. Ciò significa che il glicerolo dovrà raggiungere il fegato prima di essere ulteriormente metabolizzato.
Il glicerolo-3-fosfato viene quindi ossidato a DHAP, nella reazione catalizzata dalla glicerolo-3-fosfato deidrogenasi (EC 1.1.1.8). Nella reazione il NAD+ viene ridotto a NADH.[9]

Glicerolo-3-fosfato + NAD+ ⇄ DHAP + NADH + H+

Durante il digiuno prolungato il glicerolo è il principale precursore gluconeogenetico, rappresentando circa il 20% della produzione totale di glucosio.[41]

Amminoacidi glucogenici

Piruvato e ossalacetato rappresentano i punti di ingresso per gli amminoacidi glucogenici, ossia quelli il cui scheletro carbonioso, o parte di esso, può essere utilizzato per la sintesi de novo del glucosio.

Gli amminoacidi derivano dal catabolismo delle proteine, sia di origine alimentare che endogena, come quelle del muscolo scheletrico nel corso del digiuno o dell’attività fisica intensa e prolungata.
I processi catabolici a carico di ognuno dei venti amminoacidi che compongono le proteine convergono verso la sintesi di sette prodotti principali:

Con l’esclusione di acetil-CoA e acetoacetil-CoA, le altre cinque molecole possono essere utilizzate per la sintesi del glucosio. Pertanto, gli amminoacidi glucogenici possono essere definiti anche come quelli il cui scheletro carbonioso, in parte o in toto, può essere convertito in piruvato, ossalacetato, α-chetoglutarato, succinil-CoA o fumarato.

Nota: solo la leucina e la lisina sono esclusivamente chetogenici, essendo il loro scheletro carbonioso catabolizzato ad acetil-CoA e/o acetoacetil-CoA, che non possono fungere da substrati gluconeogenici.

Di seguito sono elencati gli amminoacidi glucogenici con i rispettivi punti di ingresso.

α-Chetoglutarato, succinil-CoA e fumarato, tutti intermedi del ciclo dell’acido citrico, entrano nella via gluconeogenetica previa conversione in ossalacetato.[42]

Propionato

Il propionato, un acido grasso a catena corta, in forma di propionil-CoA è un precursore gluconeogenico in quanto può essere convertito in succinil-CoA.
Di seguito sono analizzate le diverse fonti di propionato.

La conversione del propionil-CoA in succinil-CoA richiede tre reazioni.

Propionil-CoA + HCO3 + ATP → D-Metilmalonil-CoA+ ADP + Pi

D-Metilmalonil-CoA ⇄ L-Metilmalonil-CoA

L-Metilmalonil-CoA ⇄ Succinil-CoA

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